Tra i vari moventi della preghiera dobbiamo mettere tra i primi posti da una parte la consapevolezza della nostra estrema povertà e dell’altra la certezza che colui che invochiamo è in grado di soccorrerci. Tutto ciò sgorga essenzialmente dalle tre virtù teologali, che ci orientano verso Dio: la fede, la speranza e la carità. Tutte le virtù cristiane sono però correlate tra loro, per cui le individuiamo subito un’altra, che costituisce un indispensabile supporto a quelle menzionate: l’umiltà. Essere umili significa riconoscere ciò che siamo, riconoscere con la migliore gratitudine i doni di Dio, riconoscere nella sua verità sia il bene di cui siamo capaci, sia il male di cui siamo responsabili. Sono queste le migliori premesse della preghiera. I due protagonisti del vangelo odierno si contrappongono nettamente offrendoci l’uno una bella testimonianza di preghiera autentica, l’altro un cattivo esempio di umana presunzione. Il fariseo infatti fa vanto delle sue azioni e, pur ringraziando Dio, le attribuisce a se stesso. La sua, più che una preghiera, è un soliloquio di auto gratificazione. Con un giudizio assolutamente personale, si ritiene migliore degli altri uomini, migliore anche del pubblicano, che guarda con sufficienza e disprezzo. Più che pregare, egli ci da l’impressione di chi sta presentando al Signore le proprie credenziali; non ha nulla da chiedere, ha solo da offrire, con palese orgoglio, la sua presunta giustizia. Com’è diverso l’atteggiamento del vero orante: il pubblicano, riconoscendosi peccatore, si tiene a doverosa distanza da Dio e, in una serena mortificazione, non osa neanche di levare gli occhi verso il cielo, verso la dimora del Dio altissimo. Si riconosce reo di peccato e, mosso da sincero pentimento, si batte il petto e implora la misericordia divina: «O Dio, abbi pietà di me, peccatore». È illuminate per noi la conclusione che Gesù trae al termine della parabola: «Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Abbiamo una evidente e pressante alternativa: o accettare ed adeguarci alle sfide innumerevoli che il mondo ci lancia e in questo caso l’orgoglio è sicuramente l’arma più efficace, o fidarci di Dio e affidarci a lui come umili mendicanti, ma stracolmi di fiducia in lui. Monaci benedettini Silvestrini
Per un confronto personale. Padri Carmelitani
• Guardandomi allo specchio di questa parabola, io sono come il fariseo o come il pubblicano?
• Ci sono persone che dicono che non sanno pregare, ma parlano tutto il tempo con Dio. Tu conosci persone così?
Dilatate il vostro cuore e la misericordia di Dio lo riempirà.
RispondiEliminaBeato Gaetano Errico
Come vorrei dire a tutte le anime quali sorgenti di forza, di pace e anche di felicità troverebbero se acconsentissero a vivere in questa intimità. Esse però non sanno aspettare. Se Dio non si comunica loro sensibilmente, abbandonano la sua santa presenza e, quando egli arriva carico di doni, non trova nessuno. L'anima è al di fuori, nelle cose esteriori, non abita più nel proprio intimo!
RispondiEliminaBeata Elisabetta della Trinità
Come vorrei dire a tutte le anime quali sorgenti di forza, di pace e anche di felicità troverebbero se acconsentissero a vivere in questa intimità. Esse però non sanno aspettare. Se Dio non si comunica loro sensibilmente, abbandonano la sua santa presenza e, quando egli arriva carico di doni, non trova nessuno. L'anima è al di fuori, nelle cose esteriori, non abita più nel proprio intimo!
RispondiEliminaBeata Elisabetta della Trinità
Sapevo che là, nell'uomo interiore, erano l'inizio, la fine e il compimento: di là tutte le cose vere venivano e là facevano ritorno.
RispondiEliminaArchimandrita Sofronio
Saper dare tenerezza...La tenerezza è esorcistica, sventa i fantasmi. Le larve che si fanno credere (e non lo sono) pensieri, sentimenti, ispirazioni religiose.
RispondiEliminaCristina Campo