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La Vera Vite

Spirito Santo

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Corpus Domini

Corpus Domini

Nel Corpo e nel Sangue di Gesù

Ciascun uomo possa "sentire e gustare" la presenza di Gesù e Maria, SS. Madre della Pentecoste, nella propria vita, in ogni attimo della propria giornata.



Nello Splendore della Resurrezione del Signore l'uomo trovi la sua vera dimensione e riesca ad esprimerla con Amore e Carità. Un abbraccio Michy


Maria SS. di Montevergine

Maria SS. di Montevergine
Maria SS. di Montevergine

Ti seguitò Signore - Mons.Mario Frisina

mercoledì 30 novembre 2011

Mercoledì della I Settimana del Tempo Ordinario - Sant'Andrea


Essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.

In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Mt 4,18-22
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Vi farò pescatori di uomini.
È difficile per noi immaginare come una voce, un invito, un richiamo possa essere decisivo per la vita di una persona. Solo pensando al fàscino che Gesù esercitava con tutta la sua persona, e con la sua divina autorità, riusciamo a comprendere come semplici e rozzi pescatori, abbiano potuto, senza esitazione, lasciare le reti, e con esse tutte le loro umane sicurezze, mettersi alla sua sequela. È evidente che l’eco di quanto il Maestro di Nàzaret andava facendo e dicendo, fosse arrivato anche sulle spiagge del lago di Tiberìade, anche agli orecchi e al cuore dei due fratelli pescatori Pietro e Andrea. Resta comunque vero che per giungere alla determinazione di “lasciare tutto”, cambiare completamente vita, occorre una grandissima fiducia in colui che chiama. A maggior ragione se si pensa che Gesù non fa promesse, non dà sicurezze, non offre compensi, anzi ad uno scriba che esprime il desiderio di volerlo seguire dice: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A Pietro e ad Andrea ha da scandire solo una proposta, non di immediata comprensione: “Vi farò pescatori di uomini”. “Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono”. Gesù non si ferma! “Andando oltre vide altri due fratelli”. Davvero è andata oltre quella voce suadente: quanti e quante hanno sentito lo stesso invito di Andrea e con la stessa sollecitudine, hanno lasciato tutto per seguirlo. Questo ricordo degli apostoli ci sprona a rendere grazie per la chiamata e per tutte le chiamate. Ringraziamo perché sul fondamento degli apostoli poggia la nostra fede. Ringraziamo tutti coloro che in modi e momenti diversi offrono la stessa loro preziosa testimonianza. Ringraziamo il buon Dio se ciascuno di noi si sente concretamente impegnato a vivere ed annunciare la stessa fede trasmessa da Andrea a da tutti gli apostoli.

martedì 29 novembre 2011

Martedì della I Settimana di Avvento

Gesù esultò nello Spirito Santo.

In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
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Gesù esulta, loda e rende grazie al Padre, Signore del cielo e della terra. Negli arcani disegni divini l'Onnipotente rivela ai piccoli i misteri del Regno. Non ai sapienti, non ai dotti di questo mondo come ci verrebbe da pensare, ma agli umili, ai puri di cuore, a tutti coloro che sanno conservare o recuperare l'infanzia dello spirito di Dio che egli di preferenza si manifesta e si rivela. Possiamo pensare che questa gioia di Gesù provenga dal pensiero della sua Madre santissima, l'umile ancella, colei che può cantare che Dio ha guardato l'umiltà della sua serva, per cui ha fatto in lei grandi cose. Possiamo anche sperare e credere che quella stessa gioia sia motivata anche dalla nostra piccolezza, quella che ci rende disarmati e accoglienti nei confronti del Signore e del nostro prossimo. Sì, perché queste virtù particolarmente gradite a Dio, possono essere per noi la cometa e la stella che ci guidano fino alla grotta, in quella piccola chiesa nascente dove tutto è povero e spoglio, ma dove splende il fulgore della divinità incarnata, rifulge la santità della vergine immacolata e si spande il buon profumo di Giuseppe, l'uomo giusto. È lì che Isaia smette il suo canto profetico e con noi può finalmente contemplare ad occhi aperti il Dio che si è reso visibile nella nostra carne. Siamo perciò esortati a godere a nostra volta perché con lo sguardo della fede noi possiamo "vedere" e comprendere che il germoglio è spuntato, che davvero lo Spirito si è posato su Maria e su di noi, che finalmente possiamo a ragione sperare una novità di vita, una rigenerazione in virtù di quell'alito, quel soffio divino che dalla grotta irrora i cuori degli uomini e porta la pace messianica. Il buon Dio ci chiede soltanto di essere umili e accoglienti per esultare con Gesù che viene. Monaci Benedettini Silvestrini

lunedì 28 novembre 2011

Lunedì della I Settimana di Avvento

Molti dall’oriente e dall’occidente verranno nel regno dei cieli.

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».Mt 8,5-11
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“Verrò e lo guarirò”
È la risposta di Gesù alle fervente preghiera del Centurione. È la voce supplice di un pagano che implora la guarigione per il suo servo gravemente infermo. Acquista una particolare efficacia la preghiera quando è rivolta al Signore non per noi stessi, ma per un nostro fratello, ancor più se si tratta di un servo a cui poco o nulla era dovuto a quei tempi. È una testimonianza di un amore fraterno che subito apre il cuore del Signore. Viene spontaneo poi pensare che la preghiera di quello straniero possa rappresentare la supplica dell’intera umanità pagana che inconsciamente anela la verità e la salvezza. Anche noi provenienti dal paganesimo come il centurione, anche noi servi come il suo servo, siamo nella terribile sofferenza e paralizzati del peccato e dalle tristi conseguenze che ne derivano. È quanto ci è accaduto sin dal principio. Quel “verrò” è quanto ci è stato promesso sin dall’inizia. È il motivo che, nonostante le peripezie, le infedeltà e i tradimenti è servito a tenere desta la speranza di un intero popolo. Il motivo che anche nelle più grandi sciagure ha fatto proclamare ai profeti incessantemente “verranno giorni” e spunterà un virgulto nuovo, il germoglio del Signore splenderà, finirà la schiavitù… Anche dinanzi al grande disastro nazionale dell’esilio che poteva segnare la fine di un popolo e la morte della fede nell’Unico Signore, mai si è assistito all’abbandono da parte di Dio. Anzi quel “verrò” diventa l’esplicita dichiarazione, oggi proferita da Cristo, che Egli viene con potenza e sempre interviene nel nostro mondo e nel Natale assume nel Figlio la nostra carne. Significa quindi anche l’incessante premura paterna di Dio, che si fa più intensa quando ci vede malati o schiavi o comunque più bisognosi di un suo intervento salvifico nella nostra storia. Non possiamo non leggere la parole di Gesù come un gioioso preannuncio del Natale. Egli verrà e ci guarirà! Monaci Benedettini Solvestrini

domenica 27 novembre 2011

II Domenica di Avvento anno B

Vegliate: non sapete quando il padrone di casaritornerà.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapetequando è il momento. È  come un uomo, cheè partito dopo aver lasciato la propria casa e datoil  potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e haordinato al  portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casaritornerà, se  alla sera o a mezzanotte o al cantodel gallo o al mattino; fate in modo  che, giungendoall’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».Mc 13,33-37

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Avvento, tempo dell'attenzione
Entriamo nel tempo del­la speranza. Avvento vuol dire letteralmen­te avvicinarsi, venire vicino. Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. In cui impariamo che cosa sia davvero urgen­te: abbreviare distanze, trac­ciare cammini d'incontro. Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi. Atto di fiducia grande, da parte di Dio; as­sunzione di una responsabi­lità enorme, da parte del­l'uomo. Come custodire i be­ni di Dio che abbiamo fra le mani? Beni di Dio che sono il mondo e ogni vivente? Il Vangelo propone due atteg­giamenti iniziali: fate atten­zione e vegliate. Tutti cono­sciamo che cosa comporta una vita distratta: fare una cosa e pensare ad altro, in­contrare qualcuno ed essere con la testa da tutt'altra par­te, lasciare qualcuno e non ricordare neppure il colore dei suoi occhi, per non aver­lo guardato. Gesti senz'ani­ma, parole senza cuore.
Vivere con attenzione è l'al­tro nome dell'Avvento e di o­gni vita vera. Ma attenti a che cosa? Atten­ti alle persone, alle loro pa­role, ai loro silenzi, alle do­mande mute e alla ricchezza dei loro doni. Quanta ric­chezza di doni sprecata at­torno a noi, ricchezza di in­telligenza, di sentimenti, di bontà, che noi distratti non sappiamo vedere.
Attenti al mondo grande, al peso di lacrime di questo pianeta barbaro e magnifi­co, alla sua bellezza, all'ac­qua, all'aria, alle piante.
Attenti alle piccole cose di o­gni giorno, a ciò che accade nel cuore, nel piccolo spazio che mi è affidato.
Il secondo verbo: vegliate. Contro la vita sonnolenta, contro l'ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare.
Vegliate perché c'è un futu­ro; perché non è tutto qui, il nostro segreto è oltre noi, perché viene una pienezza che non è ancora contenuta nei nostri giorni, se non co­me piccolo seme. Vegliate perché c'è una prospettiva, una direzione, un approdo.
Vegliare come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell'alba, perché la notte che preme intorno non è l'ulti­ma parola, perché il presen­te non basta a nessuno.
Vegliate su tutto ciò che na­sce, sui primi passi della pa­ce, sui germogli della luce.
Attesa, attenzione, vigilanza sono i termini tipici del vo­cabolario dell'Avvento e in­dicano che tutta la vita del­l'uomo è tensione verso, uno slancio verso altro che deve venire, che il segreto della nostra vita è oltre noi.
Allora è sempre tempo d'Av­vento, sempre tempo di ab­breviare distanze, di vivere con attenzione. Sempre tem­po di adottare strategie di ri­sveglio della mente e del cuore, in modo da non ar­rendersi al preteso primato del male e della notte, in mo­do da non dissipare bellez­za, e non peccare mai con­tro la speranza.

sabato 26 novembre 2011

Sabato della XXXIV Settimana del Tempo Ordinario

Vegliate, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». Lc 21,34-36

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Il versetto dell'Alleluia nella Eucaristia odierna esprime l'atteggiamento che la Chiesa ci suggerisce oggi, ultimo giorno dell'anno liturgico: speranza e vigilanza: "Siate vigilanti, fissate la speranza in quella grazia che vi sarà data al ritorno del Signore Gesù Cristo". Possiamo sperare perché, come leggiamo nel libro di Daniele, "il regno, il potere e la grandezza di tutti i regni saranno dati al popolo dei Santi dell'Altissimo". Allora il Figlio dell'uomo di cui abbiamo letto ieri corrisponde al popolo? È un punto oscuro. L'espressione qui ha senso collettivo e sempre messianico, ma il senso personale non è eliminato, perché il Figlio dell'uomo è nello stesso tempo il capo, il rappresentante e il modello del popolo dei santi: Gesù ha più volte indicato se stesso come il Figlio dell'uomo. I santi, dice Daniele, saranno per un certo tempo dati nelle mani dei nemici, poi Dio li sottrarrà al loro potere ed essi riceveranno il regno. Ecco la nostra speranza. "Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo". Gesù ha vinto e noi partecipiamo alla sua vittoria se rimaniamo uniti a lui, pregando e vigilando.
L'ultimo giorno dell'anno. liturgico ci mette in questa atmosfera di fiducia e di pace e possiamo con gioia benedire il Signore con le parole del salino responsoriale: "Benedite, figli dell'uomo, il Signore. I Benedica Israele il Signore. / Benedite, sacerdoti del Signore, il Signore. / Benedite, o servi del Signore, il Signore. I Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore. I Benedite, pli e umili di cuore, il Signore".
( La Chieesa .it)

venerdì 25 novembre 2011

Venerdì della XXXIV Settimana del Tempo Ordinario

Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».Lc 21,29-33
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Le mie parole non passeranno.
La storia dell’umanità è segnata da grandi travagli; non vi sono le calamità naturali che determinano la storia; il desiderio irrefrenabile di potere, l’egoismo che stravolge tutte le leggi dell’uomo sono meccanismi che ritroviamo spesso nella storia. È la nostra storia che, in Cristo, diventa storia di salvezza, storia che ci avvicina sempre di più alla manifestazione del Regno. La notazione di vicinanza di Gesù, che leggiamo nel brano odierno del Vangelo, non è da leggersi in senso temporale ma proprio perché con Lui possiamo sempre di più rendere visibile il Suo regno. Non parla di un regno che è legato ai poteri della terra, ma è il regno delle virtù, il regno dell’amore che non è di questo mondo, anche se si realizza anche oggi. È una partecipazione che si attua nella storia e con essa ed è perciò legata alle leggi del tempo ma che trova in Cristo la sua pienezza. Le sue parole non passeranno mai! È un messaggio, una certezza, una speranza, la base della nostra fede nel Dio fedele e che mantiene le sue promesse; la parola data in Cristo, Parola del Padre nella Grammatica dello Spirito Santo. È la legge dell’amore di Cristo. Egli solo, Parola fatta carne, ha parole di vita eterna; solo in Lui troviamo l’acqua che disseta sempre; in Lui abbiamo il cibo per la vita eterna. La sua Parola illumina le nostre parole; la sua Vita da senso alla nostra vita; la sua Verità rende comprensibili le nostre verità; la sua Via indica la méta per le nostre vie. Monaci Benedettini Silvestrini

Giovedì della XXXIV Settimana del Tempo Ordinario - Santi Andrea Dung-Lac e compagni


Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Lc 21,20-28
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Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Vi sono dei brani della Bibbia che inducono alcuni ad interpretazioni di tipo catastrofico. I tempi di oggi, i suoi sconvolgimenti così impressionanti, possono proporci quasi come imminente la fine dei tempi in termini tragici. C’è da chiedersi se questo è proprio l’intento di Gesù. Possiamo noi entrare e penetrare nei misteri del tempo che sono solo di Dio? La prudenza e la vigilanza, l’attenzione ai segni dei tempi ci possono autorizzare a porre delle previsioni su quanto non ci compete? Qual è, allora, il messaggio ultimo contenuto in questo brani, come quello che ci propone in Vangelo di oggi? Il riferimento ai tempi ultimi è il riferimento alla lotta tra il bene ed il male; allora questi messaggi vogliono porci l’attenzione proprio al risultato ultimo di questa lotta, che è la vittoria definitiva del bene su tutti i mali. Il messaggio che Gesù propone è un messaggio di speranza, un messaggio che ci invita a guardare tutto quello che succede con il riferimento ultimo. È un messaggio di speranza: il bene prevaricherà sul male; non facciamoci impaurire dagli avvenimenti, anche quando non riusciamo a comprenderli nella loro assurda dinamica. È la forza del bene, del vero Bene, quella che vincerà e che prevarrà contro le porte degli inferi. Le potenze della terra; quelle legate non tanto alle leggi del tempo ma alle forze del male saranno destinate a scomparire quando si sarà realizzata la manifestazione del Regno! Il messaggio per noi è quindi chiaro: volgiamo lo sguardo al bene vero, eterno, pieno e non ciò che sentiamo come bene ma per una temporalità legate ad esigenze momentanee. Sconvolgiamo anche queste nostre potenze con l’unica vera legge che da senso pieno alla vita: la legge dell’Amore. Monaci Benedettini Silvestrini

mercoledì 23 novembre 2011

Mercoledì della XXXIV Settimana del Tempo Ordinario

Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza.
Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». Lc 21,12-19
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Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime
Ormai i tempi si stanno compiendo, Gesù è prossimo a celebrare la sua pasqua a Gerusalemme. Il tempo della Passione si sta avvicinando. Il brano del Vangelo di oggi è quasi una cerniera, un punto di svolta. Gesù ha già preannunciato ai suoi discepoli la sua Passione e la sua Morte. Questi eventi così incomprensibili per i suoi discepoli, non sono incidenti di percorso ma assumono un valore di salvezza preciso nella sua Resurrezione. È la resurrezione per la vita eterna, per entrare in maniera definitiva nel vortice d’amore trinitario che è la nostra predestinazione, secondo il piano del Padre che proprio in Cristo e nel suo Mistero pasquale trova il suo pieno compimento. Gesù, quindi non vuole solo ammonire i suoi discepoli per il futuro che li attende, non vuole solo inaugurare il tempo della Chiesa ma ha un suo scopo ben preciso. Imitare, nel martirio, le vicende del Maestro diventa partecipare allora al suo stesso Mistero che si glorifica con la Resurrezione. Il messaggio di Gesù è allora proprio guardare alla vita non solo per nelle la sua vicende terrene, non solo nella sua componente naturale ma considerare le cose più alte. La predizione di Gesù non è solo quindi un’esortazione del Maestro verso i tempi difficili che attendono i suoi discepoli; non è solo un messaggio di conforto ma è un invito più preciso. È l’invito per tutti ad una partecipazione che non appartiene a questo mondo ma riguarda propria la Signoria di Cristo. Monaci Benedettini Silvestrini

martedì 22 novembre 2011

Martedì della XXIV Settimana del Tempo Ordinario - Santa Cecilia



Non sarà lasciata pietra su pietra.

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
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Non resterà pietra su pietra…

Lo splendore del tempio affascina i discepoli che seguono Gesù; è l’occasione opportuna per un insegnamento che riguarda proprio il valore del tempo e di tutto ciò che è destinato a finire con il tempo. Gesù ha sempre dimostrato un grande rispetto per il tempio. Sappiamo che Egli preferiva luoghi solitari per pregare, per ricercare i momenti per manifestare, nella sua umanità, un rapporto così fondamentale con il Padre; ciò non gli fa diminuire, anzi, aumenta il valore della preghiera nel tempio. Cristo però sembra dare un valore preciso a tutto perché riferito a Lui. Così le pietre ed il decoro della costruzione del luogo di preghiera, che Gesù non hai disprezzato, non sono fini a se stessi ma sono proprio lo strumento per avere l’opportunità per un rapporto pieno ed efficace con Dio. Gesù parla del tempio anche in riferimento del corpo che, distrutto risorgerà a vita nuova; così noi siamo pietre vive per la costruzione del corpo di Cristo che è la Chiesa abbiamo iscritto lo stesso destino nella prospettiva della vita eterna: un destino d’Amore con il Padre. È qui proprio l’invito di Gesù; non considerare solo la temporalità e tutto quello che è soggetto all’usura del tempo ma proiettare il nostro sguardo laddove vi è l’incorruttibilità che travalica le leggi del tempo; in Dio stesso possiamo trovare questa opportunità che è in definita l’attuazione, nella nostra vita del progetto di Dio. Guardiamo con meraviglia allora le costruzioni dell’uomo, apprezziamone l’ingegno e le capacità artistiche ma non fermiamoci solo all’aspetto esterno e consideriamo, in Cristo, tutto in Lui e nel suo Amore! Monaci Benedettini Silvestrini

lunedì 21 novembre 2011

Lunedì della XXXIV Settimana del Tempo Ordinario - Presentazione della Beata Vergine Maria


Vide una vedova povera, che gettava due monetine.

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio.
Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere». Lc 21,1-4

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Vari elementi hanno concorso all’istituzione della festa odierna della Vergine Maria. Il Protovengelo di Giacomo, uno scritto apocrifo, non riconosciuto come testo ispirato e perciò non annoverato tra i libri della Bibbia, ci narra della nascita di Maria Santissima da Gioacchino ed Anna a Gerusalemme, in una casa non lontana dal tempio. Aldilà della verità storica di questa notizia è emersa una bella considerazione teologica: Maria è la figlia di Sìon, associata al tempio. Altri apocrifi ci offrono quadri di vita domestica della Madre di Gesù, tutta intenta ad adempiere in lei la promessa fatta all’Angelo di essere la serva del Signore. Alcuni autori sacri ne hanno tratto motivo per presentare la vergine Madre come modello di vita consacrata. La presentazione al tempio, questo mistero gioioso che oggi ricordiamo, ci appare quindi come una vera e propria consacrazione al Signore. Maria viene offerta a Dio e Dio ce la ridona come madre di tutti i credenti. Il vangelo di oggi esaltando Maria come la donna dell’”ascolto”, di colei che per tutta la vita si è impegnata a compiere solo la volontà di Dio, “eccomi – aveva detto all’Angelo – sono la serva del Signore. Si compia in me secondo la tua parola”, ci esorta a diventare a nostra volta umili e docili ascoltatori ed esecutori della stessa parola di Dio. Ciò ci consentirà di realizzare in noi una intimità di comunione con Cristo simile a quella che Maria ha goduto, dando alla luce il Salvatore del Mondo. “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre”. Lei, la Madre, il tempio di Dio, accoglie il Verbo che si fa carne, noi incarniamo la Parola nella nostra vita. Padri Benedettini Silvestrini.

domenica 20 novembre 2011

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo


Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna». Mt 25,31 - 46

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Al momento conclusivo e culminante dell'anno liturgico celebriamo oggi la festa di Cristo, Re dell'universo. I brani della Bibbia ci presentano con toni fortissimi la figura di Cristo Gesù: pastore, giudice, re del suo popolo, di ciascuno di noi. Possiamo, dal testo di Ezechiele, riprendere, contemplare, assaporare l'amore di Gesù, la sua opera di salvezza, la sua cura tenerissima per ciascuno. "Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura". Quando Gesù riprenderà nel vangelo questa immagine dirà: "Il buon pastore lascia le novantanove pecore al sicuro e va alla ricerca di quella perduta, finché non la ritrova". "Radunerò le mie pecore da tutti i luoghi, dove erano disperse. Io stesso condurrò le mie pecore l pascolo∑ Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte, le pascerò con giustizia". Mi ha colpito l'esperienza di una ragazza, entrata in clausura, che ha chiesto il nome di Sr. Maria Grazia di Gesù Buon Pastore; diceva: "mi sento una piccola pecora, perché Gesù è venuto a cercarmi, mi ha salvato, mi ha preso sulle sue spalle e mi fa provare ogni giorno la tenerezza del suo amore". Gesù fa così con ciascuno di noi.
Continuando la lettura dei testi biblici, vediamo come l'apostolo Paolo ci presenta Gesù, il quale per salvare noi dal male e dalla morte, è morto Lui, in un atto supremo di sacrificio e di amore infinito. Ma è risuscitato: ha vinto la morte e anche noi allora, in Lui, riceveremo la vita per sempre. A prezzo del suo sangue Cristo ci ha acquistati, conquistati, ha vinto ogni realtà terrena e consegna al Padre l'umanità, la terra, l'universo come suo regno d'amore e "Dio sarà tutto in tutti".
Il vangelo, con la parabola del giudizio finale, presenta il momento in cui Cristo ci salva per l'eternità, ci fa suoi per sempre, ci ammette al suo regno eterno: "Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete il regno preparato per voi, fin dalla fondazione del mondo". Tutto è grazia, tutto è frutto dell'amore della misericordia del Signore. Questa è la salvezza eterna. Ma la salvezza eterna - ci fa capire questo testo - è frutto dell'amore infinito di Dio e dell'impegno dell'uomo. Ciascuno di noi deve fare la sua parte, nel suo cammino della vita che è pellegrinaggio verso il Signore, verso l'eternità. Noi saremo giudicati sull'amore: siamo chiamati su questa terra a vivere nell'amore, a vivere l'amore nei fatti concreti e verso le persone che hanno più bisogno di amore. Gesù ritiene fatto a sé, tutto quello che noi facciamo al prossimo, specialmente al prossimo bisognoso. Nel suo discorso Gesù non poteva essere più chiaro, non ci lascia scappatoie o alibi, non ci lascia cullare nei nostri discorsi o illusioni. L'amore, che è il compendio di tutta la Bibbia, che è il comandamento nuovo di Gesù, c'è quando l'affamato, il povero, l'ammalato∑ viene aiutato con la nostra condivisione. E questo, secondo Gesù, è l'unica possibilità per entrare nel suo regno, nel suo paradiso, per dare un senso vero all'esistenza sulla terra e per meritare l'eternità.
Questa parabola del giudizio finale ci interpella proprio nei problemi più gravi da cui è afflitta la nostra umanità. La fame, le malattie, le ingiustizie, le migrazioni e ogni sofferenza materiale o morale sono le tragedie della maggior parte dei nostri fratelli: in essi Cristo chiede di essere aiutato e salvato.
Il S. Padre nella Nono Millennio Ineunte ci scrive queste parole, pregne di riflessione e di responsabilità: "Sono tanti, nel nostro tempo, i bisogni che interpellano la sensibilità cristiana. Il nostro mondo comincia il nuovo millennio carico delle contraddizioni di una crescita economica, culturale, tecnologica, che offre a pochi fortunati grandi possibilità, lasciando milioni e milioni di persone non solo ai margini del progresso, ma alle prese con condizioni di vita ben al di sotto del minimo dovuto alla dignità umana. È possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta condannato all'analfabetismo? chi manca delle cure mediche più elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi?
Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all'insidia della droga, all'abbandono nell'età avanzata o nella malattia, all'emarginazione o alla discriminazione sociale. Il cristiano, che si affaccia su questo scenario, deve imparare a fare il suo atto di fede in Cristo decifrandone l'appello che egli manda da questo mondo della povertà. Si tratta di continuare una tradizione di carità che ha avuto già nei due passati millenni tantissime espressioni, ma che oggi forse richiede ancora maggiore inventiva. È l'ora di una nuova " fantasia della carità", che si dispieghi non tanto e non solo nell'efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione.
Dobbiamo per questo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come " a casa loro ". Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno?"
Ci sono alcuni passi ben concreti che possiamo fare.
- E' importante la carità e la condivisione immediata: abbiamo tante cose, persino superflue e dannose, sprechiamo tanto cibo, soldi, vestiti, lusso. Ognuno di noi e ogni famiglia può e deve vivere la carità concreta in tutti i gesti possibili.
- Prendere coscienza che la miseria del mondo non è colpa di Dio, non è un caso, ma è un impoverimento, cioè uno sfruttamento di alcune parti del mondo su altre, o dovuto a crisi economiche che spesso schiacciano intere nazioni o a guerre e ingiustizie, molte volte causate da chi sta bene.
- E' necessario un impegno sociale e politico per fare la nostra parte, anche se piccola, per la conversione del mondo, per l'inversione dei meccanismi che creano miseria, per sostenere i passi, le leggi, le opinioni, le scelte per la giustizia e la possibilità di vita per tutti gli uomini nostri fratelli.
Arrivano in questi giorni dall'Argentina scene di bambini che muoiono a causa della grave crisi di quel paese. Mi ha telefonato una ignora angosciata: "vorrei a casa mia quel papà coi suoi due bimbi scheletriti. Perché non facciamo nulla, perché si permette che accadono queste cose. Io voglio fare qualcosa".
Quella signora ha visto Gesù, vuole aiutarlo. "Vieni, benedetta dal Padre mio, a far parte del mio regno, perché avevo fame e tu mi hai dato da mangiare"!
 don Roberto Rossi

sabato 19 novembre 2011

Sabato della XXXIII Settimana del Tempo Ordinario

Dio non è dei morti, ma dei viventi.

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.Lc 20,27-40

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Maestro hai parlato bene.
Quando Gesù si trova a parlare delle realtà umane trova sempre l’ammirazione di chi gli sta intorno. Parlare dell’uomo e quanto gli sta intorno non significa limitare l’argomento alla sua realtà biologica e temporale. Per parlare in maniera efficace dell’uomo bisogna parlare di Dio; per parlare della vita bisogna parlare del Dio dei vivi. Ecco perché quello che dice Gesù risulta così convincente anche su argomenti che alla nostra comprensione risultano difficile e quasi incomprensibili. Gesù è messo alla prova con una sottile questione giuridica che riguarda i nostri rapporti nella vita che ci aspetta quando la nostra parentesi terrena sarà finita. La gloria in Dio ed essere immersi nel suo amore, certamente travalica ogni schema e rapporto umano. Nella vita in Dio, nella sua completa rivelazione, che ci sarà donata in abbondanza, trovano posti tutti gli amori umani, rivestiti di nuova luce e forza. Le nostre relazioni umane troveranno tutte la stessa fonte; saranno tutte dirette ad un unico Amore che assorbirà e completerà tutto e tutti. Non vi potranno essere distrazioni e non saranno possibili esclusioni. La fonte di ciò è proprio l’amore di Dio. La sua rivelazione completa sarà allora immutabile. La nostra temporalità sarà trasfigurata in Dio con una scintilla del suo Eterno; noi saremo vivi perché sempre in relazione con il Dio vivo dei vivi che è fonte inesauribile e mai prosciugabile. Il cibo che permetterà la nostra vita sarà un cibo per la vita eterna; avremo l’acqua che disseterà per sempre. Ci siederemo a quel pozzo al quale Gesù aveva invitato la Samaritana. Gesù è chiaro: la nostra fede nella resurrezione si basa sulla nostra fede in Dio, del Dio vivente la cui gloria, diceva sant’Ireneo è l’uomo vivente. Vita e morte non sono più categorie che riguardano il nostro essere «naturale» ma il nostro rapporto con Dio, che è la nostra meta «naturale».

venerdì 18 novembre 2011

Venerdì della XXXIII Settimana del Tempo Ordinario

Avete fatto della casa di Dio un covo di ladri

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell'ascoltarlo. Lc 19,45-48
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Avete fatto della mia casa una spelonca di ladri.
Gesù entra in Gerusalemme e si reca nel tempio di Dio. Il suo non è solo un atto di rispetto ma chiarifica subito che la sua missione in Gerusalemme, è religiosa e non politica. La scacciata dei venditori dal Tempio non solo indica quanto Gesù ci tenga anche al decoro dei luoghi di culto ma assume quasi il valore di un rito di preparazione per tutto quello che sta per accadere a Gerusalemme. Assume quindi un aspetto di gesto di purificazione. Diventa quasi un rito. Gesù insegnerà ancora una volta che il tempio l’ha potuto di nuovo riconoscere come la sua casa. Tutto ciò però sappiamo bene che è solo un passaggio. Gesù è interessato a celebrare in un altro tempio, cercherà un altro altare. Dal tempio parte per arrivare sulla Croce; dalla celebrazione dell’Antica Alleanza si passa al luogo dove si celebrerà la Nuova Alleanza, che trova il suo altare sulla Croce. È il nuovo patto di amore già preannunciato dal profeta Geremia. La legge non sarà più scritta sulle tavole di pietra (il luogo era nel tabernacolo del tempio) ma nei nostri cuori. Il cuore è il tabernacolo del tempio della Nuova Alleanza, è il sacrario più intimo del nostro incontro con il Signore dove possiamo sempre celebrare la nuova Alleanza e rinnovare quell’amore che ci è donato dalla morte e risurrezione di Cristo. Purifichiamo allora i nostri cuori, rendiamoli degni di un così grande dono, facciamo che anche in noi Gesù possa trovare posto per porre il suo insegnamento, apriamoci al suo amore con fiducia.Monaci Benedettini Silvestrini

giovedì 17 novembre 2011

Giovedì della XXXIII Settimana del Tempo Ordinario - Santa Elisabetta d'Ungheria

Se avessi compreso quello che porta alla pace!

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

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Gesù è alle porte di Gerusalemme dove si compiranno i suoi giorni. Sarebbe umano che egli pensasse prima di tutto a se stesso e a quanto gli accadrà. Sa benissimo - lo ha già preannunciato ai suoi discepoli - che Gerusalemme sarà la conclusione drammatica della sua vita terrena. Egli però, alla vista di quella città, alla vista del tempio che si staglia maestoso in quella vista non pensa a Lui, ma alla stessa Gerusalemme e ciò gli suscita altre emozioni, pensa al futuro di quella città. Non c’è odio, non c’è rivalsa ma rammarico, quasi delusione. La sua Passione e Resurrezione, infatti, è il compimento del piano divino per la nostra redenzione ma è anche il sigillo di un rifiuto ad un patto di amore sigillato tanti, tanti secoli prima. Gerusalemme non riuscirà a comprendere questa nuova Alleanza; il pianto di Gesù, così umanamente comprensibile, è il pianto sul rifiuto di amore; è come il pianto dell’innamorato deluso perché abbandonato dalla fidanzata. La figura di Gesù, così umana, perfettamente umana, si mostra così dolce anche nel pianto; Egli che sta sopportando delle sofferenze incredibili ora si mostra con sentimenti che ci suggeriscono quasi ad accompagnarlo per le strade di Gerusalemme. Sappiamo quale sarà la sua méta ma il Suo è un invito che ci appella ai sentimenti più profondi. Gesù ci invita ad accompagnarlo per quella strada dolorosa ed umanamente incomprensibile della sua Passione. Una strada, una via che è la sua Via. Oggi Gesù ce la indica come la via della pace, della sua pace. È questo, infine l’invito anche per noi che sappiamo che nella pace Gesù pone tutto il suo mistero di Amore. La via della pace non è una strategia diplomatica, seppur dovrebbe essere percorsa ancora oggi, ma è un riferimento preciso alla sua morte e resurrezione; la pace come il dono messianico finale del Cristo risorto. La pace è la trasmissione di un piano infinito di amore, infinito che chiede solo di essere accettato. Monaci Benedettini Silvestrini

mercoledì 16 novembre 2011

Mercoledì della XXXIII Settimana del Tempo Ordinario

Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?

In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro.
Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato.
Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”.
Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”.
Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».
Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.Lc 19,11-28
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Gesù in questa parabola prende spunto dalla storia contemporanea. Archelao, figlio di Erode il Grande, dopo la morte del padre, era dovuto andare a Roma per ricevere l'investitura regale dal senato romano. Lo storico Giuseppe Flavio racconta che i Giudei fecero contemporaneamente partire una delegazione per chiedere che egli non regnasse su di loro.
Il Signore prende dunque questo esempio di un uomo che deve partire prima di prendere il potere, così che i suoi servi si trovano ad essere liberi, senza sorveglianza. ~ Vangelo dice che Gesù racconta questa parabola per quelli che "credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro" e lo aspettavano con impazienza, perché finalmente Dio mettesse a posto tutte le cose sulla terra. Gesù invece fa capire che Dio non ha fretta, che non vuole intervenire immediatamente e che egli stesso, il Cristo, non prenderà subito il potere universale: prima farà un lungo viaggio durante il quale gli uomini, fedeli o infedeli, sono liberi. Chi è fedele non deve aver timore di questa libertà, ma accoglierla con fiducia.
Il Signore ci dà realmente la libertà e per essergli fedeli noi dobbiamo realmente usarla. Se ragioniamo come il servo pusillanime: "Ecco la tua mina; l'ho tenuta nascosta in un fazzoletto, perché avevo paura di te", veniamo meno alla nostra vocazione. Nella vita spirituale c'è anche la tentazione del "tutiorismo": cercare sempre le cose più sicure, aver paura di prendere qualche iniziativa, di fare qualcosa che possa meravigliare... Sempre le cose più sicure! Questo non fa onore a Dio. il rischio è necessario, dice il Signore, almeno il rischio di mettere questa mina, questo denaro in banca. E un rischio: io non l'ho più, ma questo denaro frutterà un interesse e poi avrò di più.
Dobbiamo rischiare, accettare iniziative, avere creatività; in questo modo onoriamo Dio Creatore, assomigliamo a lui, che rischia in continuazione.
E l'insegnamento del Vangelo di oggi. Per far piace a Dio dobbiamo rischiare, approfittare della nostra libertà per onorario producendo veramente frutti buoni per lui e per i fratelli. "La tua mina, Signore, ha fruttato dieci mine". E il Signore risponde: "Bene, bravo servitore, poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere su dieci città".
Domandiamo a Dio di avere il senso della sua volontà che ci vuole liberi, creativi, per glorificare lui, creatore dell'universo.

Martedì della XXXIII Settimana del Tempo Ordinario

Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

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"In quei giorni un tale Eleazaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell'aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e ad ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s'incamminò volontariamente al supplizio".
Il motivo per cui Eleazaro subì il supplizio oggi ci sembra quasi incomprensibile, perché un cristiano non è tenuto a certe osservanze alimentari. Ma dobbiamo rispettare e ammirare il suo comportamento: poteva sfuggire alla morte e non lo fece, per non dare cattivo esempio: "Non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani si perdano per causa mia". Il ricordo della persecuzione di Antioco Epifane fu più tardi per i primi cristiani un esempio di grande generosità e coerenza da parte di molti Giudei.
Nel corso dei secoli anche i cristiani si fecero persecutori dei Giudei, mancando di fedeltà a Cristo: un cristiano non perseguita, ma protegge i perseguitati, e anche di questo, per fortuna, abbiamo molti esempi, soprattutto durante l'ultima guerra.
Dobbiamo piuttosto essere pronti ad affrontare la persecuzione con fortezza d'animo pur di non essere complici dei persecutori.
Se la prima lettura ci presenta la figura di un uomo fedele fino a morire, il Vangelo narra invece l'avventura meravigliosa di un uomo considerato da tutti un peccatore: Zaccheo.
A noi è più facile ritrovarci in lui, perché anche noi siamo peccatori, piccoli e non ci è possibile vedere il Signore: bisogna che lui ci cerchi, che sia lui a decidere di venire nella nostra casa. Allora il suo amore gratuito ci renderà capaci di un amore generoso come quello di Zaccheo, anche forse eroico, come quello di Eleazaro.
Imitiamo l'umiltà di Zaccheo, che non ha temuto di esporsi al ridicolo arrampicandosi, lui, "capo dei pubblicani e ricco", su un sicomoro; approfittiamo di tutte le umiliazioni per "salire" e così vedere Gesù e sentirci dire da lui: "Devo fermarmi a casa tua".
La Chiesa.it

lunedì 14 novembre 2011

Lunedi della XXXIII Settimana del Tempo Ordinario

 Che cosa vuoi che io faccia per te? Signore, che io veda di nuovo!

Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!».
Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio. Lc 18,35-43

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Il Vangelo di oggi è un insegnamento sulla preghiera. Il cieco fa un'intensa e insistente preghiera di domanda:

"Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me! ' e poi ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!"".
Una volta esaudito, la sua diventa preghiera di lode, che si allarga a tutto il popolo: "Cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio".
La preghiera di domanda ha due condizioni, e tutte e due compaiono nel racconto evangelico. La prima condizione è essere consapevoli di aver bisogno del Signore. Un cieco ha questa consapevolezza, ma piuttosto confusa: lui sa di aver bisogno della vista e grida forte, e non è possibile farlo tacere, perché ha coscienza della sua miseria, della sua condizione che non è normale e vuole a tutti i costi uscirne.
La seconda condizione è la fiducia: senza di essa non ci sarebbe preghiera, ma soltanto scoraggiamento e disperazione. Se invece, nella nostra miseria, si accende la fiducia, possiamo pregare; per questo Gesù ha detto: "La tua fede ti ha salvato". La consapevolezza della propria miseria si è accompagnata alla fede nella potenza e nella misericordia del Signore: il cieco ha pregato, ha gridato, è stato esaudito e ha potuto alla fine lodare Dio.
Consapevolezza e fiducia, dunque, una consapevolezza che non deve essere motivo di tristezza: è la premessa per una preghiera autentica, perché ci fa ricorrere a Dio con un grido più sincero per essere guariti. Non dobbiamo rinchiuderci nella nostra miseria; piuttosto dire a Dio: "Signore, tu vedi come sono misero e bisognoso di te: io credo che tu, nella tua bontà, hai pietà di me e mi guarisci. Io lo credo, o Signore!". Allora la nostra preghiera sarà esaudita e potremo dare lode a Dio e alla sua infinita misericordia. La Chiesa.it

domenica 13 novembre 2011

Domenica della XXXIIi Settimana del Tempo Ordinario

Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».Mt 25,14-30

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L'invito a non avere paura della vita


Dai protagonisti della parabola emergono due visioni opposte della vita: l'esistenza, e i ta­lenti ricevuti, come una op­portunità; oppure l'esisten­za come un lungo tribunale, pieno di rischi e di paure. I primi due servi entrano nel­la vita come in una possibi­lità gioiosa; l'ultimo non en­tra neppure, paralizzato dal­la paura di uscirne sconfitto. La parabola dei talenti è il poema della creatività, sen­za voli retorici, perché nes­suno dei tre servi crede di poter salvare il mondo. Tut­to invece odora di casa, di vi­ti e di olivi o, come nella pri­ma lettura, di lana, di fusi, di lavoro e di attesa. Di sem­plicità e concretezza. Ciò che io posso fare è solo una goc­cia nell'oceano, ma è questa goccia che dà senso alla mia vita (A. Schweitzer).
Il Vangelo è pieno di una teo­logia semplice, la teologia del seme, del lievito, di inizi che devono fiorire. A noi toc­ca il lavoro paziente e intel­ligente di chi ha cura dei ger­mogli. Dio è la primavera del cosmo, a noi il compito di esserne l'estate feconda di frutti.
Leggiamo bene il seguito della parabola: Dio non è un padrone che rivuole indie­tro i suoi talenti, con in ag­giunta quelli che i servi han­no guadagnato. Ciò che i servi hanno realizzato non solo rimane a loro, ma è moltiplicato un'altra volta: «Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto». Il padrone non ha bisogno di quei dieci o quattro talenti. I servi vanno per restituire, e Dio rilancia: e questo accre­scimento, questo incremen­to di vita, questa spirale d'a­more crescente è l'energia segreta di tutto ciò che vive. Noi non viviamo semplice­mente per restituire a Dio i suoi doni. Ci sono dati per­ché diventino a loro volta se­me di altri doni, lievito che solleva, addizione di vita per noi e per tutti coloro che ci sono affidati.
Non c'è neppure una tiran­nia, nessun capitalismo del­la quantità. Infatti chi con­segna dieci talenti non è più bravo di chi che ne conse­gna quattro. Le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative.
Non ci sono dieci talenti i­deali da raggiungere: c'è da camminare con fedeltà a ciò che hai ricevuto, a ciò che sai fare, là dove la vita ti ha mes­so, fedele alla tua verità, sen­za maschere e paure.
La parabola dei talenti è un invito a non avere paura del­la vita, perché la paura pa­ralizza, perché tutto ciò che scegli di fare sotto la spinta della paura, anziché sotto quella della speranza, im­poverisce la tua storia. La pedagogia del Vangelo offre tre grandi regole di maturità: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura. Soprattutto da quella che è la paura delle paure, la pau­ra di Dio. p.Ermes Ronchi

sabato 12 novembre 2011

Sabato della XXXII Settimana del Tempo Ordinario

Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».Lc 18,1-8

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Pregare sempre.


Ai nostri giorni due grandi difficoltà non ci consentono di entrare in un clima di preghiera assidua e costante: da una parte un certo tipo di progresso che ci ha convinti di essere quasi onnipotenti, pare che nulla e nessuno possa più arrestare il cammino verso sempre nuove e affascinanti conquiste, da ciò deriva un senso di autosufficienza che esclude di fatto ogni ricorso a qualsiasi richiesta di aiuto. Dall’altra ci siamo convinti di godere di una forma di invulnerabilità ed anche questo tipo di sufficienza e di sicurezza, benché fasulla, non lascia spazio a quel pensiero di umiltà e di verità che ci consentirebbe invece di rivolgerci ad un Essere superiore. Onnipotenti ed invulnerabili, quindi niente preghiera! L’uomo saggio invece, che si lascia illuminare dallo Spirito di Dio, prende coscienza dei propri limiti, si mette alla ricerca del suo Signore e Padre e, trovatolo, lo invoca incessantemente per conoscerlo, per amarlo, per godere del suo amore, per scoprire il piano divino che lo conduce alla salvezza. Pregare sempre allora non è più una richiesta assurda perché diventa un bisogno irrefrenabile dell’anima, un bisogno di comunione con Dio che non può conoscere più pause o intervalli.

venerdì 11 novembre 2011

Venerdì della XXXII Settimana del Tempo Ordinario - San Martino di Tours

 Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti.
Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.
In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot.
Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva.
Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata».
Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».Lc 17,26-37

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Nel giorno in cui il figlio dell’uomo si rivelerà.


Il mistero del tempo per lo stolto è inconsistente come il nulla: non ci bada. Non è capace di speranza, di protendersi verso qualcosa di più grande: “mangiamo e beviamo, perché domani moriremo (1Cor15,32)”. Ma il volto della speranza cristiana non è astruso: è scritto nella trama stessa dell’oggi. Quel Figlio dell’uomo che si rivelerà, è già venuto in mezzo a noi, si è promesso sempre presente e riconoscibile nel volto di ogni fratello. Occorre essere vigili a ricevere la venuta del Signore, non spensierati e senza discernimento. Quanto alla preparazione: essa comporta il distacco e il dono di sé per seguire Gesù Cristo e la sua croce. Ma si deve anche riconoscere Cristo nella verità della sua carne: solo con una retta dottrina relativa a Cristo, che alcuni compromettono, possiamo vedere il Padre. Il giorno della venuta definitiva del Figlio dell’uomo, comparato prima a un temporale con lampi e fòlgori, è ora paragonato a un diluvio che purifica il mondo dal male o a una pioggia di fuoco che brucia l’iniquità come nel giorno di Sòdomia e Gomòrra.

giovedì 10 novembre 2011

Giovedì della XXXII Srttimana del Tempo Ordinario

 Il regno di Dio è in mezzo a voi.

In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».Lc 17,20-25

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Il popolo d’Israele, al tempo di Gesù, era stanco di subire esili e sopraffazioni. Sotto questa forte pressione psicologica, che feriva l’orgoglio di sentirsi prima prediletto e poi umiliato dal Signore degli eserciti, autore da sempre delle loro vittorie e del loro riscatto dalle diverse schiavitù, pensavano e attendevano il Messia prefigurandolo come un nuovo e più potente liberatore, capace di ricondurre Israele ai passati fulgori. In questo contesto leggiamo l’interrogativo che oggi i farisei pongono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Gesù senza esitare, corregge le loro errate attese. «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!». L’agire del Signore non si manifesta mai come spettacolo visibile agli occhi della carne. Lo si riconosce alla luce della fede, non attira l’attenzione dei sensi, ma smuove le coscienze se disposte a comprendere i segni di Dio. Esiste ancora la tentazione di attenderci dal Signore manifestazioni eclatanti e spettacolari, sullo stile di quelli che spesso inscenano gli uomini. Nel primo libro dei Re leggiamo: «Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento». Egli si manifesta ad Elìa nel mormorìo di un vento leggero. Si manifesta di prevalenza agli umili e ai puri di cuore e a tutti coloro che fanno àrdere dentro la luce della fede. Se ai nostri giorni, talvolta in tono accusatorio, si parla del silenzio di Dio, dobbiamo concludere che ciò dipende soltanto dalla cecità e dalla sordità degli uomini. Accadeva già ai tempi di Cristo; egli era lì in mezzo a loro, aveva iniziato la sua predicazione dicendo semplicemente: «Convertitevi e credete al Vangelo. Il Regno di Dio è vicino». Quella voce però per molti era caduta nel vuoto. C’è ancora il rischio di volerLo cercare chi sa dove, chi sa in chi, e non accorgersi che egli è vivo e presente in mezzo a noi a condividere in tutto la nostra penosa storia. Quando le fede è debole e la prostrazione diventa più penosa, ci si affanna a cercare ed inventare falsi cristi e a lasciare loro ampi spazi per poi cadere nelle peggiori delusioni. Cristo è vivo e presente nella nostra storia, vuole vivere in ciascuno di noi! Monaci Benedettini Silvestrini

mercoledì 9 novembre 2011

Mercoledì della XXXII Settimana del Tempo Ordinario - DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE


Parlava del tempio del suo corpo.

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Gv 2, 13-22

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Adoriamo il Signore nella sua santa dimora.
Dio non può essere racchiuso in un luogo: neppure l’universo sa contenerlo. E tuttavia egli è particolarmente vicino a quanti lo invocano nel luogo a lui consacrato. La donna del brano facoltativo che la liturgia di oggi ci propone, dalle parole sapienziali che ascolta da Gesù, deduce che egli è un profeta (Lc. 7,39). Per l’evangelista però non conta la reazione della donna, ma solo il crescere della sua fede. I samaritani erano attaccati al loro luogo di culto e non partecipavano al pellegrinaggio a Gerusalemme. Gesù risponde alla donna con parole rivolte al futuro: viene l’ora in cui ambedue i luoghi di culto perderanno la loro importanza. Il culto a Dio non sarà più legato a un luogo fisico, ma deve salire dal cuore dei fedeli in cui è effuso lo Spirito. “Dio è spirito”: ciò ricorda che il vero tempio è i il corpo di Cristo, la persona del Signore. E’ un richiamo all’autenticità della preghiera, che ci fa superare ogni barriera religiosa, che ci unisce nell’unico Signore e nella stessa fede. E’ anche un esplicito rimprovero a tutti coloro che dando la propria adesione ai vari movimenti ecclesiali, ne fanno una bandiera che frammenta e divide come fecero i soldati ai piedi della croce facendo a pezzi le vesti di Cristo.

martedì 8 novembre 2011

Martedì della XXXII Settimana del Tempo Ordinario

Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.
 
In quel tempo, Gesù disse:
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Lc 17,7-10

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La salvezza dei giusti viene dal Signore.


La salvezza è il dono supremo che Dio ha offerto agli uomini con l’immolazione sulla croce del suo Figlio; è quindi un dono gratuito di grazia. Il richiamo di questo brano di Vangelo è quindi quello di considerarsi dei servitori e dei salvati, di non vantarsi e di non accampare pretese su nessuno, di non fondarsi sui propri meriti. Il fedele nei confronti del suo Dio sceglie un comportamento di totale disponibilità, senza calcoli o contratti. Alla stessa maniera nella comunità cristiana nessuno deve esigere prestigio o dignità maggiore perché ha offerto prestazioni maggiori. Tutti devono riconoscere di essere “servi inutili”, sereni e felici di potere donare, amare e sacrificarsi per Dio e per gli altri senza la logica fèrrea del capitalismo produttivo. All’origine del comportamento cristiano sta l’apparizione della “grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. La morale del Cristiano ha la sua sorgente nel mistero di Gesù che ha rinnovato l’uomo. La nostra condotta manifesta questa grazia. Due pericoli incombono sulla nostra vita e sui nostri comportamenti: il rischio di ritenerci salvatori di noi stessi, dimenticando l’indispensabile ed umile ricorso al vero ed unico Salvatore e l’inganno dei falsi salvatori, dei falsi profeti del nostro tempo che vorrebbero convincerci che salvezza si identifichi con piacere e potere o ancor peggio nell’adesione alle diverse ideologie.

Lunedi della XXXII Domenica del Tempo Ordinario

Se sette volte ritornerà a te dicendo: Sono pentito, tu gli perdonerai.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!
Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai».
Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe».Lc 17,1-6

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Se sette volte al giorno facesse ritorno a te dicendo:



“Mi pento!”, tu perdonagli.

La redazione evangelica di San Luca raduna una serie di ammonimenti di Gesù riguardanti la vita comunitaria: Oggi egli ci parla di scandalo e di perdono. Le difficoltà più insormontabili si risolvono alla luce disarmante dell’amore. Ancora oggi la parola creatrice ci coglie radunati come Chiesa scossa ma non abbattuta dagli scandali, come Chiesa peccatrice ma anche come Chiesa del perdono: una Chiesa che incessantemente prega il Padre per avere il dono sempre nuovo della fede. La nostra attenzione va però soprattutto all’insegnamento sulla fede. La frase di Gesù nasce da una domanda spontanea e sincera degli apostoli: “Aumenta la nostra fede!”. Gesù aggiunge che non si deve tranquillamente tollerare il male, che lo si deve perdonare quando ci sia il pentimento, che un minimo atto di fede ha una potenza prodigiosa. L’apostolo delinea poi le qualità che in particolare deve chi è responsabile di una comunità cristiana: padronanza di sé, temperanza, generosità, assennatezza, fedeltà alla sana dottrina. Gli scandali dei nostri giorni assumono talvolta le caratteristiche della mostruosità, è falso però pensare di poterli risolvere con lo sdegno, lo sgomento, la voglia di vendetta o ancor peggio con le sterili polemiche. Gesù indica a noi suoi seguaci una strada, sicuramente ardua, ma l’unica che può scuotere le coscienze e ricondurre al bene, una via che lo stesso Cristo ha percorso e che potremmo definire l’immolazione nell’amore per dare a tutti la forza e la garanzia del perdono. Monaci Benedettini Silvestini

domenica 6 novembre 2011

Domenica della XXXII Settimana del Tempo Ordinario

Ecco lo sposo! Andategli incontro!

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora». Mt 25,1-13

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Dio è una voce che ci risveglia
Ecco lo sposo! Andategli incontro!
In queste parole trovo l'immagine più bella dell'esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare incontro. Uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, lo splendore di un abbraccio. Dio come un abbraccio. L'esistenza come un uscire incontro. Fin da quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio. Il secondo elemento importante della parabola è la luce: il Regno di Dio è simile a dieci ragazze armate solo di un po' di luce, di quasi niente, del coraggio sufficiente per il primo passo. Il regno di Dio è simile a dieci piccole luci, anche se intorno è notte. Simile a qualche seme nella terra, a una manciata di stelle nel cielo, a un pizzico di lievito nella pasta. Ma sorge un problema: cinque ragazze sono sagge, hanno portato dell'olio, saranno custodi della luce; cinque sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta. Gesù non spiega che cosa sia l'olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno. L'alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti.
Dateci un po' del vostro olio perché le nostre lampade si spengono... la risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono responsabile di me stesso, chi lo sarà per me? Parabola esigente e consolante. Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato. Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà. È in quella voce, che non mancherà; che verrà a ridestare da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non è stanca; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci. Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade. A me basterà avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una lampada, e uscire incontro a un abbraccio. padre Ermes Ronchi