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La Vera Vite

Spirito Santo

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Corpus Domini

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Nel Corpo e nel Sangue di Gesù

Ciascun uomo possa "sentire e gustare" la presenza di Gesù e Maria, SS. Madre della Pentecoste, nella propria vita, in ogni attimo della propria giornata.



Nello Splendore della Resurrezione del Signore l'uomo trovi la sua vera dimensione e riesca ad esprimerla con Amore e Carità. Un abbraccio Michy


Maria SS. di Montevergine

Maria SS. di Montevergine
Maria SS. di Montevergine

Ti seguitò Signore - Mons.Mario Frisina

lunedì 31 ottobre 2011

Lunedi della XXXI Domenica del Tempo Ordinario

Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi.

In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».Lc 14,12-14


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Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi

La legge della carità, misericordia, pietà, aiuto e sostegno ai fratelli ha un solo principio ispiratore: deve essere fatta a Dio nel più grande silenzio e la ricompensa sarà sempre il Signore a donarla. Mai la si deve attendere dall'uomo, pena la perdita della ricompensa eterna, nei cieli.
Ecco come Gesù proclama questa legge di amore: "State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Mt 6,1-4).
Gesù vuole che noi viviamo ogni relazione di carità, elemosina, conforto spirituale e materiale vedendo Lui in ogni povero, misero, derelitto: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,34-40).
Nelle relazioni di convenienza, opportunità, anche nella quotidianità sociale più spicciola, dobbiamo vivere questa legge di carità e di amore. Anziché invitare coloro che a loro volta inviteranno e così rimaniamo tutti senza ricompensa eterna, Gesù ci chiede di dare una svolta soprannaturale a questa abitudine umana. Invitando coloro che non ci possono invitare a loro volta e proprio perché non ci possono invitare, noi abbiamo una ricompensa grande nei cieli. Questa è la legge nuova di Cristo Signore.
Disse poi a colui che l'aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
San Paolo ci insegna che quanti agiscono in questo modo non solo godranno di una ricompensa eterna. Saranno anche benedetti da Dio nei loro particolari momenti di bisogno durante la vita terrena: "Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto. Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù" (Fil 4,17-19). Noi abbiamo risolto un problema a Dio servendo i suoi poveri. Dio risolverà i nostri problemi, servendo noi suoi amici e benefattori. Dio non ricompensa secondo la misura della quantità ricevuta, bensì secondo le nostre necessità. Chi ci guadagna nelle opere di misericordia è sempre colui che le fa. Il guadagno è per la terra e per il cielo ed è un guadagno alto, altissimo, divino. Dio si pone interamente a servizio di chi lo serve nei suoi poveri.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli Santi, dateci questa purissima fede.- Movimento Apostolico - rito romano

domenica 30 ottobre 2011

Domenica della XXXI Settimana del Tempo Ordinario

Dicono e non fanno.


In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato». Mt 23,1-12

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Il più grande è chi ama di più

Il Vangelo evidenzia due questioni di fondo, che chiunque desideri una vita autentica deve affrontare. La prima: essere o apparire. La seconda: l'amore per il potere.
Praticate ciò che vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.
La severità di Gesù non va contro la debolezza di chi vorrebbe ma non ce la fa', bensì contro l'ipocrisia di chi fa finta. Verso la nostra debolezza Gesù si è sempre mostrato premuroso, come il vasaio che, se il vaso non è riuscito bene, non butta via l'argilla, ma la rimette sul tornio e la plasma di nuovo, fino a che realizza il suo progetto. Gesù non sopporta gli ipocriti. Ipocrita (termine greco che significa 'attore di teatrò) è il moralista che invoca leggi sempre più dure, ma per gli altri ( legano pesi enormi sulle spalle delle persone, ma loro non li toccano con un dito ); ipocrita è l'uomo di Chiesa che più si mostra severo e duro con gli altri, più si sente giusto, vicino a Dio (mentre è vicino solo alla propria aggressività o invidia verso i fratelli). Paolo oggi dice: «Avrei voluto darvi la mia vita». L'ipocrita dice: «Vi ho dato la legge, sono a posto». L'ipocrita non si accontenta di essere peccatore, vuole apparire buono. E con la sua falsa virtù fa sì che gli uomini non si fidino più neanche della virtù autentica. Gesù poi stigmatizza un secondo errore che rovina la vita: l'amore del potere. Non fatevi chiamare maestro, dottore, padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli. E già questo è un primo grande capovolgimento: tutti fratelli, nessuno superiore agli altri, relazione paritaria e affettuosa. Ma a Gesù questo non basta, e opera un ulteriore capovolgimento: il più grande tra voi è colui che serve.
Il più grande è chi ama di più. Il mondo ha bisogno d'amore e non di ricchezza per fiorire. E allora il più grande del nostro mondo sarà forse una mamma sconosciuta, che lavora e ama nel segreto della sua casa, o nelle foreste d'Africa, o uno di voi che legge, o colui o colei che vi è vicino. Gesù rovescia la nostra idea di grandezza, ne prende la radice e la capovolge al sole e all'aria e dice: tu sei grande quanto è grande il tuo cuore. Siete grandi quando sapete amare, quando sapete farlo con lo stile di Gesù, traducendo l'amore nella divina follia del servizio: sono venuto per servire non per essere servito. È l'assoluta novità di Gesù: Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, è Lui ai piedi di tutti. Dio è il grande servitore, non il padrone. Lui io servirò,perché Lui si è fatto mio servitore.
Servizio: nome nuovo, nome segreto della civiltà.

Sabato della XXX Settimana del Tempo Ordinario

Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.


Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Lc 14,1.7-11

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Quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto
Gesù non è un uomo che vive nel cielo - anche lì vi è una gerarchia: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, la Vergine Maria, e poi via, via secondo il grado di santità e di beatitudine dovuto ai meriti di una vita interamente consacrata alla verità e all'amore - dove non vi è invidia, superbia, gelosia, culto di sé, altre cose che creano risentimento, dispiaceri, delusioni, divisioni, contrasti, inimicizie e cose del genere.
Gesù è uomo profondamente immerso nelle cose di questo mondo e sa che vi è un ordine sociale, civile, religioso da rispettare. La comunità degli uomini vive di regole umane. Queste non si possono abolire, abrogare, cancellare per legge, per decreto, per imposizione dall'alto. Poiché nessuno le potrà mai togliere, essa devono essere rispettate, osservate, vissute. Gesù non vuole i suoi discepoli arroganti, prepotenti, superbi, alla ricerca dei primi posti da occupare. Li vuole invece umili, sottomessi, servi di tutti, capaci di rispetto, onore, gloria da conferire a quanti vengono prima di loro o sono superiori a loro per cariche, mansioni, amicizie e altro.
Anche San Paolo dona questa regola di sano e giusto comportamento: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell'ospitalità" (Rom 12,1-13). Turbare per superbia e arrivismo, invidia e gelosia, stoltezza ed insipienza, il cammino sociale e civile di una comunità non è cosa santa per un discepolo di Gesù. Non corrisponde alla sua vera natura.
Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: "Cedigli il posto!". Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: "Amico, vieni più avanti!". Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Ecco l'insegnamento di Gesù: il posto nella Chiesa e nella società lo assegna solo il Signore. Da Lui ognuno lo deve attendere. Il Signore è però imperscrutabile nel suo mistero. Ignoriamo tempi, momenti, luoghi della sua scelta. Se però noi ci mettiamo sempre all'ultimo posto, noi siamo sempre al posto che Dio ci ha assegnato e siamo sicuri di fare la sua volontà. Vivendo nel nostro posto, possiamo fare tutto il bene che Lui si attende. Se poi è sua volontà che veniamo messi in altri posti, di più grande responsabilità, nella Chiesa e nella società civile, sarà Lui a spianare la strada. Come? Anche questo fa parte del suo mistero imperscrutabile. Quando noi non abbiamo fatto nulla perché questo avvenga ed avviene, allora lì vi è il dito di Dio. In questo caso, e solo in questo caso, noi siamo certi che quanto stiamo vivendo è purissima volontà del Signore nostro Dio. Questa certezza il discepolo di Gesù deve sempre possedere.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, dateci sempre l'ultimo posto. Movimento Apostolico - rito romano

Venerdì della XXX Settimana del Tempo Ordinario - Santi Simone e Giuda

Ne scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli.

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti. Lc 6,12-19

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Chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici

Nell'elezione dei suoi Apostoli Gesù non mette nulla di suo. Chi sceglie è il Padre. Chi gli dona i discepoli è Dio. Questa verità deve essere affermata con forza, energia di Spirito Santo. È solo Dio l'Autore di una chiamata, vocazione, elezione, invio, ministero, dono, carisma. Dio opera in Cristo per mezzo del suo Santo Spirito. Per questo motivo Gesù passa la notte in orazione: chiede al Padre chi sono quelli che Lui gli vuole dare. Anche in questo l'obbedienza al Padre è perfetta.
Questa verità Gesù così la proclamerà un giorno: "Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Quand'ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità" (Cfr 17,1-19).
Anche Pietro rispetta questa verità in ordine all'elezione di colui che avrebbe dovuto prendere il posto di Giuda Iscariota: "Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione. Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia. Poi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto per prendere il posto in questo ministero e apostolato, che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto che gli spettava».Tirarono a sorte fra loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli" (At 1,21-26). La Chiesa mai si deve lasciare condizionare dal suo cuore o dai suoi sentimenti. Dio deve regnare sopra di essa nei piccoli gesti della sua vita, ma anche nei grandi eventi che esprimo la sua essenza, la sua natura, quella volontà divina che perennemente deve governarla.
In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.
Imitare Cristo Gesù nel conferimento di un incarico, un ministero, un ufficio, qualsiasi altra cosa che manifesta ed esprime la natura della Chiesa, vuol dire liberarsi da ogni condizionamento umano, anche di affetto, amicizia, riconoscenza, ricompensa. La ricerca della volontà di Dio deve essere la vera passione di quanti sono preposti a reggere il gregge che Cristo si è conquistato con il suo sangue. È sempre lo Spirito Santo che deve rivelarci la divina volontà. A tutti si richiede questa ricerca. Nessuno domani dovrà essere accusato di favoritismo, nepotismo spirituale o altro.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, insegnateci la divina volontà. Movimento Apostolico - rito romano

giovedì 27 ottobre 2011

Giovedì dela XXX settimana del Tempo Ordinario

In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere».
Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”».Lc 13, 31-35

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Il terzo giorno avrò finito.

Il linguaggio di Gesù, secondo lo stile proprio orientaleggiante, è spesso permeato di sottili allegorie, non sempre di immediata comprensione per noi non assuefatti a quello stile. Erode, che sta tramando contro di lui, viene definita una volpe per designare la sua astuzia malvagia. Dichiara poi che egli, nonostante le minacce e il reale pericolo deve compiere la sua missione ed ha bisogno di tre giorni. Anche qui il Signore sottintende quanto avverrà dopo la sua morte; egli risorgerà dopo tre giorni. è il tempo che intercorre tra la morte e la vita. Egli sta compiendo miracoli e prodigi che anticipano quell’evento. Non dimentico però del clima ostile che deve respirare nella città santa, Gerusalemme, Gesù ci fa ascoltare il suo lamento accorato nei confronti di quella città e dei suoi abitanti: «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi viene lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». C’è un contrasto terribile tra le cure riservate a quella città e l’ingratitudine e la violenza con cui hanno risposto agli inviati dal Signore. È sempre grave il peccato in ogni sua forma, ma quello dell’ingratitudine ad un amore di predilezione è sicuramente particolarmente doloroso. È il peccato dei prediletti, di un popolo e di una città, che solo per scelta divina dovevano brillare di luce e di grazia e avrebbero dovuto accogliere l’Atteso delle genti come il dono più grande che si potesse desiderare. Invece anche dinanzi al Figlio di Dio continua l’ostilità e già sono in atto trame di morte. Siamo invitati ad un attento esame di coscienza per non cadere nel tremendo errore di ricambiare con l’ingratitudine l’infinito amore che è stato riversato nei nostri cuori.

Mercoledì della XXX Settimana del Tempo Ordinario

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi». Lc 13, 22-30

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«Signore, sono pochi quelli che si salvano?».

È uno degli interrogativi fondamentali che ognuno di noi si pone. Tutta la nostra vita è orientata verso un approdo finale, che è appunto la salvezza. Oltre che essere l’obiettivo della nostra fede, per noi esseri umani, fatti ad immagine somiglianza di Dio, è istintivo il bisogno di immergerci di nuovo in Colui donde abbiamo tratto la vita e l’esistenza. Quell’alito che Egli ha soffiato su di noi deve tornare alla sua fonte. Tuttavia con la nostra esistenza stiamo facendo un difficile cammino di ritorno alla Casa paterna donde ci eravamo allontanati, abbagliati dall’illusione della liberta senza confini. Per questo Gesù rispondendo alla domanda afferma: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno». La porta è diventata stretta per noi dopo l’abbandono. Ci è consentito di rientrarvi solo se siamo capaci di diventare piccoli nell’umiltà del pentimento e del filiale abbandono. Non sono ammessi colpevoli ritardi perché ignari del momento e dell’ora in cui lo sposo verrà, se non pronti con l’abito nuziale e con le lucerne accese, potremmo sentirci dire: «Non vi conosco, non so di dove siete». In un altro passo Gesù ci ammonisce: «Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio». Sappiamo che «conoscere» nel linguaggio biblico significa amare, quindi quel «non vi conosco» sarà l’esplicita dichiarazione della nostra mancanza di amore, ciò che spegne la lucerna e imbratta inevitabilmente il nostro abito. A nulla allora servirà vantare superficiali partecipazioni o appartenenze, non potranno essere queste a scusarci dai nostri peccati. L’ammonimento rivolto prevalentemente al popolo eletto, serve anche a noi:ora siamo noi gli invitati alle nozze, noi i prediletti del suo amore, noi i redenti, i salvati, gli attesi alla mensa eterna. La nostra valida risposta è l’amore a Dio e al nostro prossimo.

martedì 25 ottobre 2011

Martedì della XXX Settimana del Tempo Ordinario

Il granello crebbe e divenne un albero.

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Lc 13,18-21

Il granellino e il lievito.
Immagini di grandezza, di potenza e di gloria ci accompagnano quando pensiamo ai regni umani e ai grandi della terra. Gesù viene ancora una volta a sconvolgere i nostri pensieri dicendoci che il Regno di Dio, infinito nella sua grandezza e in tutte le sue perfezioni e simile a un granellino di senapa gettato nell’orto. L’infinitamente grande diventa infinitamente piccolo! È un monito per noi che siamo caduti nel peccato a causa della superbia per le nostre manie di grandezza. Ci dice chiaramente che se volgiamo far parte di quel Regno di redenti e di salvati da Cristo dobbiamo sprofondarci negli abissi dell’umiltà vera, diventare come bambini, puri e semplici come colombe. Ci stupisce che poi questa ci venga indicata come la via certa per conseguire la vera grandezza agli occhi del Signore. Quel piccolo seme, quasi invisibile, diventerà un albero fecondo. È la grandezza che s’identifica con la santità. Questo è un discorso che nel nostro mondo risuona arduo e perfino assurdo agli orecchi di molti. È troppo intensa e senza tregua la sfida che abbiamo ingaggiato da tempo per primeggiare l’uno sull’altro. Pare che la virtù dell’umiltà oggi sia quasi improponibile anche perché, tra l’atro, viene spesso confusa con la debolezza o la pusillanimità. La seconda immagine del Regno è il lievito nella massa. Qui il linguaggio di Cristo diventa estremamente impegnativo per noi perché il lievito siamo noi, piccola porzione di eletti in una massa che attende di fermentare nel bene sotto gli impulsi convincenti del buon esempio. Per far questo non possiamo e non dobbiamo far affidamento nelle nostre forze, che risulterebbero inevitabilmente inefficaci, ma solo nella grazia divina che ci fortifica e faconda. Una grande responsabilità e un grande impegno, ma anche un innegabile privilegio ci ha dato Cristo. I primi dodici hanno cambiato la storia del mondo… e noi?


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Lunedì della XXX Settimana del Tempo Ordinario

Questa figlia di Abramo non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.Lc 13, 10-17
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Guardare gli eventi alla luce dello Spirito.
Genera sconforto ed irritazione il comportamento assurdo del capo della sinagoga che si indigna nel vedere Gesù, che impone le mani e guarisce in giorno di Sabato una povera donna afflitta da diciotto anni da un terribile male. Egli la proclama libera dalla sua infermità e le impone le mani. La reazione della donna «raddrizzata» miracolosamente è quello di glorificare Dio, la reazione del capo della sinagoga è una critica assurda e cieca nei confronti del Cristo. Nella sua ottusità e grettezza, citando a sproposito la scrittura sacra, dichiara che ci sono sei giorni in cui si deve lavorare e non in giorno di sabato. Il Signore definisce da ipocriti tale comportamento e tale giudizio. Quanto Gesù ha fatto non può assolutamente essere paragonato al lavoro umano; Egli sta rivelando ancora una volta la centralità della sua missione nei confronti dell’uomo infermo e peccatore. Egli è colui che guarisce e colui che salva. Lo dichiarerà più esplicitamente in un’altre occasioni: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» e altrove dice: «sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato». Capita ancora di sentire e leggere critiche assurde e talvolta blasfeme nei confronti di Cristo, della Chiesa e dei suoi ministri e dei suoi fedeli: molto spesso si costata che il lucignolo della ragione umana vorrebbe giudicare e condannare la Luce stessa di Dio!

domenica 23 ottobre 2011

Domenica della XXX Settimana del Tempo Ordinario (anno A)

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». Mt 22,34-40/



Amare, "l'unico" comandamento


Qual è il grande comandamento?
Gesù risponde indicando qualcosa che sta al centro dell'uomo: tu amerai. Lui sa che la creatura ha bisogno di molto amore per vivere bene. E offre il suo Vangelo come via per la pienezza e la felicità di questa vita.
Amerai Dio con tutto, con tutto, con tutto. Per tre volte Gesù ripete che l'unica misura dell'amore è amare senza misura. Ama Dio con tutto il cuore: totalità non significa esclusività. Ama Dio senza mezze misure, e vedrai che resta del cuore, anzi cresce, per amare i tuoi familiari, gli amici, te stesso. Dio non è geloso, non ruba il cuore: lo moltiplica.
Ama con tutta la mente. L'amore rende intelligenti, fa capire prima, andare più a fondo e più lontano. Ama con tutte le forze. L'amore rende forti, capaci di affrontare qualsiasi ostacolo e fatica.
Da dove cominciare? Dal lasciarsi amare da Lui, che entra, dilata, allarga le pareti di questo piccolo vaso che sono io. Noi siamo degli amati che diventano amanti.
Domandano a Gesù qual è il comandamento grande e Lui invece di un comandamento ne elenca due: amerai Dio, amerai il prossimo.
Gesù non aggiunge nulla di nuovo: il primo e il secondo comandamento sono già scritti nella Bibbia. Eppure dirà che il suo è un comando nuovo. Dove sta la novità? Sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l'unico comandamento. E dice: il secondo è simile al primo. Amerai l'uomo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio. Questa è la rivoluzione di Gesù: il prossimo ha volto e voce e cuore simili a Dio. Il volto dell'altro è da leggere come un libro sacro, la sua parola da ascoltare come parola santa, il suo grido da fare tuo come fosse parola di Dio.
«Sul tuo corpo volteggiano angeli
come intorno a una chiesa
... e di Lui sono i tuoi occhi» (Turoldo).
Amerai il tuo prossimo come ami te stesso. È quasi un terzo comandamento sempre dimenticato: «ama te stesso», perché sei come un prodigio, porti l'impronta della mano di Dio. Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e possedere, fuggire o violare, senza gioia né gratitudine. Se per te desideri pace e perdono, questo tu offrirai all'altro. Se per te desideri giustizia e rispetto, tu per primo li darai.
Ma perché amare, amare con tutto me stesso? Perché portare il cuore a queste vertigini? Perché dare e ricevere amore è ciò su cui posa la beatitudine della vita.
Perché Dio-amore è l'energia fondamentale del cosmo, e amando partecipi di questa energia: quando ami, è il Totalmente Altro che viene perché la storia sia totalmente altra da quello che è. p. Ermes Ronchi.

sabato della XXIX Settimana del Tempo Ordinario

Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».Lc !3,1 - 9

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Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo


Le false illusioni sono il pane quotidiano dell'uomo. È ministero dei "custodi" della verità liberare il credente da ogni inganno, falsità, menzogna, approssimazione, intromissione di pensiero umano in tutte le cose che riguardano la relazione dell'uomo con il suo Dio e Signore. La più piccola falsità introdotta nella verità di Dio riesce a guastarla interamente, secondo l'insegnamento che ci offre il Qoelet: "Una mosca morta guasta l'unguento del profumiere: un po' di follia ha più peso della sapienza e dell'onore" (Qo 10,1). Oggi proprio questo sta succedendo nella Chiesa: chi insegna la falsità ha più peso di chi consuma la sua vita nella ricerca della verità e chi professa la menzogna si accredita più di chi fa professione di vera fede.
L'illusione, la falsità, l'inganno sono il nutrimento del peccato, della disobbedienza, della trasgressione dei Comandamenti del nostro Dio e Signore. Nutrendo il peccato di illusione, possiamo continuare a peccare in tutta tranquillità. È l'illusione che ce lo giustifica e che lo rende cosa inoffensiva, di scarso valore. In fondo cosa è un aborto, un omicidio, una eutanasia, un divorzio, uno stupro, un adulterio, un furto, una calunnia devastante e distruttrice, la bestemmia, l'abbandono di Dio? Niente. Il Signore alla fine copre tutto con la sua misericordia. È questa l'illusione che oggi sta riducendo il nostro cristianesimo ad una chiacchiera vana.
Da un lato si affermano i grandi principi non negoziabili sulla persona umana e dall'altro poi si predica l'illusione. A che serve proclamare certe verità se poi è detto che non c'è alcun giudizio di Dio sui misfatti dell'uomo? Anzi si afferma che già tutto è perdonato, condonato, rimesso. Gesù però non parla così. Evidentemente tra il suo e il nostro pensiero una certa discrepanza regna. Lui oggi ci dice che se non ci convertiremo, periremo tutti allo stesso modo e noi gridiamo al mondo che siamo tutti già redenti, giustificati, salvati, accolti nel regno di Dio. Almeno per onestà professionale, noi custodi della sua verità, dovremmo chiederci: è falsità ciò che dice Lui oppure è menzogna ciò che dico io? Almeno questa onestà dovremmo averla.
La scure è già pronta. L'albero che non produce sta per essere abbattuto. È questa la nostra misericordia cristiana: mettere ogni impegno, energia, zelo, dedizione, opera, pensiero, parola, presenza efficace al fine di aiutare l'albero a produrre i frutti che il padrone si attende. Non è certo quella che stiamo mettendo noi oggi, quando diciamo che produrre e non produrre sono la stessa cosa. Dio ci ha già salvati in Cristo Gesù. Sarebbe sufficiente che non nutrissimo di falsità i nostri fratelli perché una luce nuova illuminasse cuore, mente, lo stesso corpo e molte cose cambierebbero.Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, liberateci da ogni illusione. Movimento Apostolico - rito romano

venerdì 21 ottobre 2011

Venerdì della XXIX Settimana del Tempo Ordinario

Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?

In quel tempo, Gesù diceva alle folle:
«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?
Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».(Lc 12,54-59)

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I segni dei tempi e i segni di Dio.

I progressi nella scienza, vertiginosi in questo ultimo secolo, consentono agli uomini di scrutare sempre meglio i segni dei tempi. Pare che non esistano più barriere per l’intelligenza umana: pare che ormai siamo in grado di trovare la spiegazione di tutto ciò che ci accade intorno sia nel bene che nel male. In misura diversa ciò accadeva anche ai tempi di Gesù; gli scribi e i farisei, i suoi avversari di sempre, cavillando e ragionando a modo loro, emanavano sentenze e si ritenevano depositare si quasi tutte le verità. Il rimprovero del Signore: «Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, ma questo tempo non sapete giudicarlo» risuona anche per noi con grande attualità. Anche oggi si vuol vedere tutto con un solo occhio, quello più debole e fallace della ragione e si rifiuta di scrutare gli eventi con l’occhio della fede. Ci si priva così di rendere sacra la nostra storia, non la si vede come guidata e redenta da Dio, ma tutto si riduce a squallida cronaca di stile giornalistico. Si rimane così nella inevitabile condanna dei contini conflitti, che ostacolano la pace con Dio e tra gli uomini. Non dovremmo ridurci ad aprire gli occhi solo in occasione di fatti tragici e violenti! - Monaci Benedettini Silvestrini

giovedì 20 ottobre 2011

Giovedì della XXIX Settimana del Tempo Ordinato

Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».(Lc 12,49-53)

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Il fuoco sulla terra.
Gesù è pienamente consapevole del carattere esplosivo e radicale della sua venuta. Egli dice di essere venuto a portare il fuoco sulla terra; vuol dire che l’amore di Dio si è reso più che mai visibile nella sua persona, il verbo si è fatto carne, abita in mezzo a noi. Egli sta per dare al mondo la suprema testimonianza della misericordia divina con la sua immolazione sulla croce. Tutto ciò sarà il suo battesimo di sangue. Egli già intravede la realizzazione della sua promessa di inviare alla chiesa nascente «il consolatore, lo spirito di verità» che scenderà sugli apostoli come lingue di fuoco. Egli sa che quel fuoco arde e arderà nei secoli per essere la forza dei deboli, la luce sul cammino della chiesa, la vera sapienza per gli uomini. Con questa forza, che genera la fermezza nella fede, il seguace di Cristo, dagli apostoli fino a noi, diventa un suo testimone e un annunciatore del suo Vangelo, ma proprio questo annuncio e questa testimonianza sarà motivo di lotta e di persecuzioni da parte di coloro che li rifiutano. Ecco perché Gesù, autore della pace, oggi ripete di non essere venuto a portare la pace, ma la guerra; egli riafferma che i suoi si troveranno spesso come agnelli in mezzo ai lupi. I lupi talvolta, come la storia ci testimonia, sono le persone a noi più vicine. È accaduto anche a Gesù con Giuda. Monaci Benedettini Silvestrini

mercoledì 19 ottobre 2011

Mercoledì della XXIX Settimana del Tempo Ordinario

A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».Lc 12, 39-48 


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Siate pronti!

Prima di addormentarci nel sonno della morte, rischiamo di cadere nel torpore della vita; ciò ci accade quando ci lasciamo coinvolgere dagli eventi, sedurre dal tempo e acquietare dalle cose che circondano, incapaci di guardare oltre per aver perso lo scopo ultimo della nostra vita. Diventiamo come viandanti che hanno smarrito la strada il cui incedere diventa vago e immotivato. «Siate pronti» ci risuono perciò come una sveglia dal torpore e dall’immobilismo, ci ricorda di essere dei viandanti che continuamente debbono cercare la strada e fare il giusto rifornimento per non restare privi di indispensabili energie. Solo così la vita acquista il suo vero significato: siamo in marcia verso una meta, sempre desti e pronti, camminiamo insieme, abbiamo la certezza che Qualcuno ci precede e ci indica la via. L’attesa e la fatica non sono vane perché il Signore ci attende per farci sedere al banchetto del cielo insieme ai suoi santi. Ci percorre il pensiero di tante giovani vite, prive di meta e di ideali, che soffocate dal nulla e dalla nausea, ricorrono ai falsi dei, fino a procurarsi la morte, prima dell’anima e del corpo. Forse non si è giunti a tempo a destarli dal torpore e innamorarli della vita! Monaci Benedettini Silvestrini

martedì 18 ottobre 2011

Martedì della XXIX Settimana del Tempo Ordinario

La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

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La messe e gli operai.


È lo stesso evangelista Luca, che oggi festeggiamo, a ricordare per se e per i suoi lettori, per tutti noi, il mandato di Cristo di andare nel mondo per essere annunciatori della sua Parole e del suo Regno. Li manda a due a due a testimoniare innanzitutto la carità fraterna. L’oggetto del loro annuncio è la pace del Signore, ma, benché portatori di un tale dono, debbono attendersi travagli e persecuzioni. Vanno come agnelli in mezzo ai lupi, vanno privi di umane sicurezze e spogli di ogni bene. Gesù vuole i suoi discepoli «sgombri» di ogni peso, affinché siano recettivi del suo divino messaggio e ripongano solo in Lui ogni speranza. Sono paragonati agli operai della messe e li invita a pregare perché siano tanti ad accettare l’invito a lavorarvi. Non predice successi alla loro missione, anzi predice l’eventualità del rifiuto, li dota però di speciali poteri, che derivano da Cristo stesso e sono il frutto della predicazione e dell’annuncio di salvezza: sono capaci di curare ogni male, di liberare l’uomo che ne è afflitto, di continuare ed affermare la missione del redentore e l’avvento del suo Regno. Luca ha adempito perfettamente il mandato affidatogli dal Maestro divino; lo ha fatto con la predicazione e con il suo Vangelo, che, ancora oggi, letto ed accolto nelle chiese del mondo ci consente di sentire ancora viva la sua voce. Se anche noi accogliamo il suo annuncio con la nostra vita, possiamo meritare il titolo di evangelisti.

lunedì 17 ottobre 2011

Lunedi della XXIX Settimana del Tempo Ordinario

 Quello che hai preparato, di chi sarà?

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

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Accumulare tesori senza arricchire dinanzi a Dio.


I desideri umani, se non guidati dalla sapienza dello Spirito, sfociano inevitabilmente nella cupidigia; le necessità della vita, sull’onda della umana insaziabilità, si moltiplicano senza limite fino a farci credere di dover vivere sempre e soltanto nella situazione terrena. Ci convinciamo anche di essere noi soltanto i padroni del tempo e della vita e i destinatari delle nostre cose, chiudendoci in un’insanabile egoismo. Siamo anche noi tentati di pensare come l’uomo ricco di cui ci parla il Vangelo di oggi: una volta acquisite le nostre sicurezze, i nostri beni, riempiti i granai delle nostre bramosie, diciamo a noi stessi: «Hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia e bevi e datti alla gioia». Il Signore da un giudizio completamente diverso della felice situazione in cui crede di essere quell’uomo. Egli lo definisce «stolto» perché ha sbagliato completamente i conti: ha saputo misurare l’entità delle sue ricchezze, ma non ha valutato la caducità del tempo e la vera destinazione di quei beni. Ha pensato ad una felicità solo terrena e si è dimenticato dell’eternità. Ecco perché il Signore non intende immischiarsi in faccende di eredità. Troppo spesso proprio in quelle circostanze emergono in modo violento l’attaccamento al denaro e agli interessi solo umani. Dovremmo ricordarci che la nostra vera vita non è quaggiù, dove tutto perisce, ma nell’eternità di Dio, dove le vere ricchezze si tramutano in gioia perenne. (Monaci Benedettini Silvestrini)

domenica 16 ottobre 2011

Domenica XXIX del Tempo Ordinario - Santa Margherita Maria Alacoque Vergine



Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Mt 22,15-21

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Da Dio hai ricevuto, a Dio restituisci il vangelo

Alla domanda cattiva e astuta di chi vuole metterlo o contro Roma o contro la sua gente, Gesù risponde giocando al rialzo, come al suo solito, e con due cambi di prospettiva che allargano gli orizzonti della domanda. Con il primo cambio di prospettiva muta il verbo pagare (è lecito pagare le tasse?) in restituire: quello che è di Cesare rendetelo a Cesare. Con il secondo cambio introduce l'orizzonte di Dio. Innanzitutto parla di un dare e avere: voi usate questa moneta, usate cioè dello stato romano che vi garantisce strade, giustizia, sicurezza, mercati. Avete ricevuto e ora restituite. Pagate tutti le tasse per un servizio che tocca tutti. Come non applicare questa chiarezza semplice di Gesù ai nostri giorni, in cui la crisi economica porta con sé un dibattito su manovre, tasse, evasione fiscale; applicarla ai farisei di oggi che giustificano in mille modi, quando addirittura non se ne vantino, l'evasione delle imposte.
«Restituisci, perché sei in debito». Io sono in debito verso genitori, amici, insegnanti, medici, verso la storia di questo paese, verso chi mi ha insegnato ad amare e a credere, mi ha trasmesso affetto e valori, verso i poeti e gli scienziati, i cercatori di Dio, verso milioni di lavoratori sconosciuti, verso l'intera mia società. Un tessuto di debiti è la mia vita, io ho avuto infinitamente di più di ciò che ho dato.
Restituire a Cesare di cui mi fido poco? A Cesare che ruba? Sì, ma al modo di Gesù, lui che non guardava in faccia a nessuno, come riconoscono i farisei: allora, se Cesare sbaglia, il mio tributo sarà quello di correggerlo; e se ruba gli ricorderò la voce della coscienza e il dovere della giustizia.
Il secondo cambio di prospettiva inserisce la dimensione spirituale. Da Dio hai ricevuto, a Dio restituisci. Da Lui viene il respiro, il volere e l'operare, il gioire e l'amare, i talenti, il seme di eternità deposto in te, suo è il giardino del mondo. Davanti a Lui, come davanti all'uomo, non siamo dei pretendenti, ma dei debitori grati. Se avessimo tra le mani quella moneta romana capiremmo qualcosa d'altro. L'iscrizione recitava: divo Caesari, al divino Cesare appartiene. Gesù scinde di netto l'unità di queste due parole: Cesare non è Dio. Altro è Cesare, altro è Dio. Di Dio è l'uomo, quell'uomo che Lui ha fatto di poco inferiore a un Dio. A Cesare le cose, a Dio la persona. A me dice: tu non inscrivere nel cuore altre appartenenze che non siano a Dio. Resta libero e ribelle ad ogni tentazione di venderti o di lasciarti possedere. Ripeti al potere: io non ti appartengo. Ad ogni potere umano Gesù dice: non appropriarti dell'uomo, non ti appartiene. L'uomo è cosa di Dio. È creatura che ha Dio nel sangue. padre Ermes Ronchi

sabato 15 ottobre 2011

Sabato della XXVIII Settimana del Tempo Ordinario - S.Teresa d'Avila



Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.
Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato.
Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire». Lc 12,8-12
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 Riconoscere per essere riconosciuti.


Gli Apostoli, primi testimoni dell’annuncio di salvezza operata da Cristo con la sua morte e risurrezione, anche dinanzi alle persecuzioni, anche quando venivano portati dinanzi ai tribunali, anche quando veniva loro ingiunto di non parlare più della nuova dottrina, affermavano con vigore: «non possiamo tacere». Ciò derivava dalla certezza della loro fede e dal mandato ricevuto dal Signore. Anche noi, battezzati in Cristo, dal giorno del nostro battesimo ci impegniamo in prima persona e per tutta la vita ad essere suoi testimoni. Oggi siamo sollecitati da una ulteriore certezza ad adempiere questo sacrosanto dovere: «chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà». Questo ammonimento ci proietta nella fase finale della nostra esistenza e ci pone dinanzi al giudizio di Dio. Riconoscere Cristo e testimoniarlo diventa la garanzia di un riconoscimento dinanzi agli angeli di Dio e dinanzi a Dio stesso. Accade esattamente il contrario per coloro che misconoscono il Cristo e lo rinnegano nella vita terrena; si preparano volontariamente e colpevolmente ad essere ignorati nel regno di Dio e a cadere nel buio dell’amore. Per essere poi capaci di resistere alle tentazioni e alle violenze il Signore ci assicura l’assistenza dello Spirito Santo per confutare ogni errore e vivere nella pienezza della verità.
(Monaci Benedettini Silvestrini)

venerdì 14 ottobre 2011

Venerdì della XXVIII Settimana del Tempo Ordinario

Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.

In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli:
«Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze.
Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui.
Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!». Lc 12,1-7

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Commento (La Chiesa)


Nella tradizione ebraica Abramo era giustamente considerato campione dell'obbedienza nella fede, l'uomo giusto per eccellenza, poiché non aveva esitato ad offrire a Dio il sacrificio dell'unico figlio. Paolo non ha dubbi: Abramo fu giustificato prima di offrire Isacco in sacrificio, perché fu giustificato dalla sua fede nella promessa di Dio, sperò infatti "contro ogni speranza". Solo la fede giustifica, rende cioè santi davanti a Dio, sorgente di ogni santità e giustizia.
Scrive san Paolo: "Che cosa dice la Scrittura? "Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia"".
Paolo continua la sua argomentazione. La gratuità della giustizia che Dio dona a chi ha fede in lui è ancora più evidente quando si tratta di un peccatore. Eppure la Bibbia dice: "Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate".
Si tratta quindi, per essere salvati, di aderire con un atto di fede a Dio, al suo dono gratuito, alla divina giustizia che purifica e ci rende peccatori perdonati. E un atteggiamento fondamentale nella vita spirituale: dobbiamo essere concretamente convinti che non le nostre opere valgono, ma la sua santità, accolta in noi con la fede. Il rapporto con Dio sta proprio in questa continua accoglienza del suo dono di "giustizia", che egli ci elargisce per la nostra fede.
Di conseguenza verranno anche le opere, ma saranno allora "opere della fede", opere che per la sua grazia noi possiamo compiere, perché egli le ha preparate per noi.
Rendiamo grazie all'amore del Signore, che ci domanda soltanto di lasciarci salvare, di lasciare che egli abbia cura di noi e chiediamogli che aumenti la nostra fede.



giovedì 13 ottobre 2011

Giovedì della XXVIII Settimana del Tempo Ordinario

Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa.


In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca. Lc 11,47-54

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Ancora guai…


Quando qualcuno stigmatizza i nostri vizi e li mette in luce il nostro orgoglio divampa e chi ha osato èrgersi contro di noi lo trattiamo da nemico. Se poi siamo anche posti in autorità lo sdegno quasi sicuramente crescerà e la possibilità della vendetta affiorirà con prepotenza. I capi religiosi al tempo di Gesù costruivano monumentali sepolcri ai loro profeti dimenticando però che molti di loro erano stati perseguitati ed uccisi dai loro padri. Gesù sa che la stessa sorte toccherà anche a Lui e molto presto le trame che gli tendono in continuazione, sfoceranno nella condanna a morte e nell’orrendo delitto della croce. Ecco perché Gesù afferma: sarà chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti. La morte di Cristo sarà come il coronamento e la sintesi storica di tutte le infedeltà perpetrate dal popolo d’Israele e anche l’ultimo rifiuto del più grande di tutti i profeti, la condanna del Figlio di Dio. Tutto questo accade perché per l’ennesima volta, coloro che ritenevano di essere i primi custodi, interpreti e testimoni della legge, avevano tolto la chiave della scienza. Essi non vi sono entrati, e l’hanno impedito a quelli che volevano entrare. Per la stessa ragione usano la loro scienza per tendere insidie al Signore, per farlo parlare su molti argomenti e sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca. La condanna per loro invece viene dalla sapienza di Dio. - Monaci Benedettini Silvestrini

Mercoledì della XVIII Settimana del Tempo ordinario

"Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge."

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l'amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».
Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!». Lc 11,42-46
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Guai a voi, farisei!

 
I «guai» scagliati dal Signore contro scribi, farisei e dottori della legge sono l’esatto opposto delle beatitudini. Queste sono frutto e conseguenza del bene riconosciuto, amato e praticato, quelle derivano invece dalle cattive azioni e particolarmente dalla falsità e dall’ipocrisia. Per questo Gesù paragona i suoi nemici a «sepolcri imbiancati», belli all’esterno, ma pieni di putrèdine all’interno. Viene condannato con particolare severità tutto ciò che è finzione ed ipocrisia nell’ambito religioso. Ne sono campioni e rappresentanti autorevoli i farisei, che amano i primi posti nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze. Ai nostri giorni si comportano così i rappresentanti di cosche mafiose che venerano i santi, frequentano celebrazioni religiose ma poi si macchiano di orrendi delitti. Viene condannato tutto ciò che è formalismo esteriore e che ingenera la falsa convinzione che tutto si possa compiere ed esaurire con gesti esterni e riti formali. Il Signore li identifica in coloro che pagano «la dècima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgrediscono la giustizia e l’amore di Dio». Oggi li potremmo riconoscere in coloro che credono che basti far calare una moneta nel bussolo o sottoscrivere l’offerta dell’otto per mille per adempiere ogni dovere religioso. Praticare la giustizia e l’amore richiede ben altro impegno. Monaci Benedettin Silvesstrini

martedì 11 ottobre 2011

Martedì della XXVIII Settimana del Tempo Ordinario

Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro.

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».Lc 11,37-41

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Le esigenze della legge.

I Farisei, al tempo di Gesù, erano campioni di ipocrisia. Si fermavano alle esigenze esteriori della legge e si sentivano appagati. Reclamavano i primi posti nelle sinagoghe e i saluti da parte di tutti nelle piazze. Gesù stigmatizza un tale comportamento e, con veemenza (guai a voi!) li paragona a sepolcri imbiancati, belli solo all’esterno, ma dentro pieni di putredine. Un dottore della legge, che si sente in dovere di intervenire a difesa dei Farisei e che si sente coinvolto in quell’acuto rimprovero e offeso dalle parole del Cristo si sente rispondere: «Guai a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini con pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate neanche con dito!» La categoria dei falsi e degli ipocriti si allarga, coinvolge anche i predicatori e i così detti maestri, che proclamano verità e impongono agli altri l’osservanza di leggi e di precetti, appesantiti dal loro falso zelo e vanificati poi dal pessimo esempio che offrono non osservandoli loro stessi per primi. È una genia di pseudo religiosi che trova ancora adepti anche tra noi: sono coloro che si ammantano di santità solo per scandire condanne e compiacersi di se stessi. Sono motivo di scandalo per i fedeli e li allontanano dalle vera fede. Monaci Benedettini Silvestrini

Lunedi della XXVIII Settimana del Tempo Ordinario

Non sarà dato alcun segno a questa generazione, se non il segno di Giona.


In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:
«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».Lc 11, 29-32

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Il segno di Giona.


«Questa generazione è una generazione malvagia, essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona». La mancanza di fede induce a cercare segni e prodigi straordinari. Vorrebbe un Dio che dà spettacolo di potenza e di onnipotenza secondo i criteri umani. Egli nella rivelazione ci ha fatto conoscere tutto quanto ci occorre per essere illuminati dalla verità e ben alimentati nella fede. Inoltre le folle che si accalcavano intorno a Gesù avevano il privilegio di appartenere al popolo eletto, al primo depositario della parola rivelata. La storia di quel popolo purtroppo è però cosparsa di tradimenti e di infedeltà. Anche l’ultima e la più grande ed evidente manifestazione, Gesù, Verbo incarnato, il segno per eccellenza della manifestazione del Padre, viene accolto con la contestazione, la diffidenza, l’aperta avversione. Neanche il segno di Giona, preannuncio della risurrezione di Cristo, sarà sufficiente ad indurre alla conversione e alla fede. Gesù dirà: «Ecco ben più di Giona c’è qui!». Dobbiamo implorarlo ed alimentarlo continuamente il dono della fede. L’arroganza conduce alla malvagità: c’è una ricorrente tentazione per l’uomo, quella di pretendere di scrutare e giudicare i pensieri di Dio. Egli già ci ha ammonito solennemente: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri». Quindi non sono i segni su nostra richiesta che possono convincerci dell’esistenza di Dio e delle sua spontanee teofanie, ma l’umile accoglienza della parola di Dio e del Vangelo di Gesù Cristo è la fonte sufficiente da cui possiamo e dobbiamo attingere tutte le verità che ci occorrono per la nostra salvezza. Monaci Benedettini Silvestrini

lunedì 10 ottobre 2011

Domenica della XXVIII Settimana del Tempo Ordinario (anno A)

Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali».

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Al Signore sta a cuore la nostra gioia

Tre immagini riassumono la parabola: la sala della festa, le strade, l'abito nuziale.
1. La sala della festa rimane vuota e triste, fotografia impietosa del fallimento del re: nessuno vuole il suo regalo, nessuno partecipa alla sua gioia. Perché gli invitati non rispondono al suo invito? Abbiamo tutti sperimentato che per far festa davvero con gli altri è necessario un anticipo di felicità dentro, è necessario essere contenti. Ecco perché i primi invitati non rispondono, perché non sono felici: hanno perso la gioia del cuore dietro alle cose e agli affari.
2. Le strade. Allora il Dio che vive per creare gioia condivisa, dice ai servi: «Andate per le strade, agli incroci, ai semafori, lungo le siepi...». E l'invito sembra casuale, invece vuole esprimere la precisa volontà che nessuno sia escluso. È bello questo nostro Dio che quando è rifiutato, anziché abbassare le attese le alza: chiamate tutti! Che apre, allarga, gioca al rilancio, va più lontano; e dai molti invitati passa a tutti invitati: tutti quelli che troverete, cattivi o buoni, fateli entrare. Notate: prima i cattivi e poi i buoni... Noi non siamo chiamati perché siamo buoni e ce lo meritiamo, ma perché diventiamo buoni, lasciandoci incontrare e incantare da una proposta di vita bella, buona e felice da parte di Dio.
3. L'abito nuziale che un commensale non indossa ed è gettato fuori. A capire che cosa rappresenti quell'abito ci aiuta una parola sussurrataci il giorno del Battesimo quando, ponendo sopra di noi una piccola veste bianca, il sacerdote ha detto: «Bambino mio adesso rivestiti di Cristo!». Il nostro abito è Cristo! Passare la vita a rivestirci di Cristo, a fare nostri i suoi gesti, le sue parole, il suo sguardo, le sue mani, i suoi sentimenti; a preferire coloro che egli preferiva. L'abito nuziale è quello della Donna dell'Apocalisse: vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di stelle, che indossa il guardaroba di Dio, l'abito da festa del creato, che è la luce, il primo di tutti i simboli di Dio. In quella Donna è ciascuno di noi, cercatore di luce che venga a vincere le paure e le ombre che invecchiano il cuore.
La parabola ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Noi lo pensiamo come un Re che ci chiama a servirlo e invece è Lui che ci serve. Lo temiamo come il Dio dei sacrifici ed è il Dio cui sta a cuore la gioia; uno che ci impone di fare delle cose per lui e invece ci chiede di lasciargli fare cose grandi per noi.
Lo pensiamo lontano, separato, e invece è dentro la sala della vita, la sala del mondo, come una promessa di felicità, una scala di luce posata sul cuore e che sale verso Dio. p. Ermes Ronchi

sabato 8 ottobre 2011

Sabato della XXVII settimana del Tempo Ordinario

Beato il grembo che ti ha portato! Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio.


In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».
Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».Lc 12, 8-12.

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Riconoscere per essere riconosciuti.
Gli Apostoli, primi testimoni dell’annuncio di salvezza operata da Cristo con la sua morte e risurrezione, anche dinanzi alle persecuzioni, anche quando venivano portati dinanzi ai tribunali, anche quando veniva loro ingiunto di non parlare più della nuova dottrina, affermavano con vigore: «non possiamo tacere». Ciò derivava dalla certezza della loro fede e dal mandato ricevuto dal Signore. Anche noi, battezzati in Cristo, dal giorno del nostro battesimo ci impegniamo in prima persona e per tutta la vita ad essere suoi testimoni. Oggi siamo sollecitati da una ulteriore certezza ad adempiere questo sacrosanto dovere: «chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà». Questo ammonimento ci proietta nella fase finale della nostra esistenza e ci pone dinanzi al giudizio di Dio. Riconoscere Cristo e testimoniarlo diventa la garanzia di un riconoscimento dinanzi agli angeli di Dio e dinanzi a Dio stesso. Accade esattamente il contrario per coloro che misconoscono il Cristo e lo rinnegano nella vita terrena; si preparano volontariamente e colpevolmente ad essere ignorati nel regno di Dio e a cadere nel buio dell’amore. Per essere poi capaci di resistere alle tentazioni e alle violenze il Signore ci assicura l’assistenza dello Spirito Santo per confutare ogni errore e vivere nella pienezza della verità.

Venerdì della XXVII Settimana del Tempo Ordinario

Se io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. In quel tempo, [dopo che Gesù ebbe scacciato un demonio,] alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.




Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.
Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.
Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima».Lc 12, 1-7.

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Guardatevi dal lievito dei Farisei.
Se perdiamo di vista la gerarchia dei valori ci può capitare di temere più per la nostra integrità fisica che per quella dello spirito. Gesù rivolgendosi ai suoi discepoli, li ammonisce per ristabilire l’ordine migliore e preservarli dal terribile male dell’ipocrisia: «Temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettarvi nella Geènna». Se si cade nella trappola dei falsi profeti, che come i farisei curano solo le esteriorità, si rischia di diventare falsi e ipocriti, anche quando si riuscisse a carpire il plauso degli uomini. Sarà lo stesso Dio a smascherare tali falsità, anche quelle tramate nel segreto perché «non c’è nulla di nascosto che non sarà rivelato». Un tale atteggiamento non può sgorgare dalla semplice logica umana, ma ancora una volta è il frutto della fede e dell’abbandono in Dio. Egli ci garantisce, infatti, una costante protezione. Ci pone sotto il suo sguardo paterno e ci rassicura che ognuno di noi è un grande valore ai suoi occhi. Non abbiamo perciò motivi per temere.

giovedì 6 ottobre 2011

Giovedì della XXVII Settimana del Tempo Ordinario

Chiedete e vi sarà dato.

In quel tempo, Gesù disse ai discepoli:
«Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».Lc 11,5-13

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Chiedete, cercate, bussate…
Molti cristiani, che non hanno un concetto esatto delle finalità della preghiera, finiscono per credere che troppo spesso il nostro Dio è sordo o, come afferma un salmista, «muto e inerte». Alcuni pensatori oggi sono arrivati a proclamare il silenzio e l’assenza di Dio dalle vicende del mondo. Quando poi la nostra storia assume connotati di più intensa tragicità, di particolare violenza e di conclamate ingiustizie, il grido verso Dio giunge fino a diventare orrenda bestemmia: lo si accusa di essere Lui il responsabile delle umane atrocità e ciò perché non ci sarebbero da parte sua quelle risposte, che a noi sembrerebbero così logiche e soprattutto così urgenti. Ancora una volta il processo a cui vorremmo sottoporre il buon Dio è guidato da considerazioni e razionalità solo umane e non dalla luce della fede. È allarmante che tutto ciò accada anche nell’ambito della preghiera cristiana. Il Signore ascolta, con amore di Padre, le nostre suppliche, interviene nella nostra storia personale e sociale, ma essenzialmente egli si erge a difensore della nostra libertà ed esige giustamente che la nostra preghiera miri prima di tutto a compiere in noi e nel mondo la sua santissima volontà. Richiede la perseveranza nella preghiera perché questa ci mette in sintonia con Lui e ci rende capaci di vedere, alla luce della fede e del mistero della croce, le «verità» su ciò che ci accade e sui misteriosi, ma reali interventi che egli opera, anche e soprattutto, nel trarre il bene migliore anche dalle vicende più assurde e atroci della nostra storia, di cui noi siamo gli unici responsabili. Monaci Benedettini Silvestrini

mercoledì 5 ottobre 2011

Mercoledì della XXVII Settimana del Tempo Ordinario

Signore, insegnaci a pregare.

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione». Lc 11,1-4

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Quando pregate dite…

In modo forse non del tutto consapevole, i discepoli di Gesù, tante volte testimoni delle notti insonni che il loro maestro passava in preghiera, gli rivolgono a loro volta una semplice invocazione, una vera preghiera: «insegnaci a pregare». La risposta di Gesù è il Padre nostro. Ci saremmo aspettato una lunga dissertazione sulla preghiera, un vero e proprio trattato, una scuola di preghiera, come si deve pregare… Il Signore invece scandisce, semplicemente e senza preamboli, un modello di preghiera da cui tutti gli oranti del mondo hanno attinto la primaria ispirazione per rivolgersi a Dio nel modo più semplice ed efficace. Potremmo, ancora oggi sperimentare che ogni essere umano, che sia animato da una certa fede e da un minimo di religiosità, volentieri reciterebbe con noi la preghiera di Gesù. Ciò che invece forse sfugge anche a noi cattolici è il saper cogliere da quella preghiera i frutti di un essenziale programma di vita. Affermiamo infatti il primato di Dio nella nostra vita e lo riconosciamo come Padre di tutti proclamando la santità del suo nome. Ci impegniamo di conseguenza a vivere la fraternità perché il Regno di Dio si espanda ovunque e in tutti. Professiamo poi la fede nella divina provvidenza che non ci lascia mancare il necessario per vivere e ci nutre di pane e di grazia. Consapevoli delle nostre umane debolezze e delle ricorrenti tentazioni che vorrebbero indurci al male, ci affidiamo alla sua misericordia e dichiariamo la nostra disponibilità ad usarla a nostra volta verso il nostro prossimo.  Monaci Benedettini Silvestrini

lunedì 3 ottobre 2011

Martedì della XXVII Settimana del Tempo Ordinario - San Francesco


Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

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Il canto di un uomo libero.

Le letture bibliche nelle feste dei santi tendono a descriverci nel modo più semplice ed efficace le loro precipue virtù e la specifica spiritualità di cui si sono dotati in vita per arrivare dritti a Dio, vivendo in modo eroico. Ecco San Paolo che si gloria della croce di Cristo e si vede crocifisso al mondo e distaccato da esso: Francesco ha lo stesso vanto perché egli ha avuto il privilegio di portare nel suo cuore e nel suo corpo in modo visibile le stigmate del Signore, proprio come era accaduto all’Apostolo e ha abbandonato tutte le umane sicurezze per essere tutto ed esclusivamente di Cristo nel gaudio di una completa povertà. Hanno capito entrambi il fascino della croce e hanno imparato a gioire con Cristo nella sofferenza. Il versetto al Salmo responsoriale “Tu sei, Signore, mia parte di eredità” ci ricorda la scelta eroica e decisiva di Francesco, che lascia ogni ricchezza e sposa madonna povertà; si libera dei pesi del mondo per essere tutto e solo di Dio, l’unico vero bene. La preghiera di Gesù al Vangelo vuole ricordarci che le verità divine non appartengono ai dotti e ai sapienti di questo mondo, ma ai puri e ai semplici che sono illuminati dallo Spirito Santo. I famosi “fioretti” di San Francesco sono la testimonianza più evidente dell’alto grado di comunione che il santo aveva raggiunto con il suo Dio, con il prossimo e con la natura che ne è lo specchio. Francesco è il cantore di Dio, cantore della sua grazia, delle bellezze del creato perché ha raggiunto la vera libertà interiore e ha saputo librarsi con tutta la sua vita verso l’Alto. Ha lascito un solco fecondo dove i fiori della semplicità, della bontà e della purezza fioriscono sempre nuovi ed incantano per il loro splendore.