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Corpus Domini

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Nel Corpo e nel Sangue di Gesù

Ciascun uomo possa "sentire e gustare" la presenza di Gesù e Maria, SS. Madre della Pentecoste, nella propria vita, in ogni attimo della propria giornata.



Nello Splendore della Resurrezione del Signore l'uomo trovi la sua vera dimensione e riesca ad esprimerla con Amore e Carità. Un abbraccio Michy


Maria SS. di Montevergine

Maria SS. di Montevergine
Maria SS. di Montevergine

Ti seguitò Signore - Mons.Mario Frisina

domenica 12 settembre 2010

XXIV Domenica del Tempo Ordinario - Santissimo nome di Maria



Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte.


In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». Lc 15,1-32

Forma breve

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Lc 15, 1-1

Omelia
di
padre Ermes Ronchi

Quel padre che difende la libertà

Si è persa una pecora, si perde una moneta, si perde un figlio. Si di­rebbero quasi delle sconfit­te di Dio. E invece l'amore vince proprio perdendosi dietro a chi si era perduto. Il Dio di queste parabole è un Dio che và dietro anche a uno solo. Uno, uno solo di noi, e per di più sbanda­to, è sufficiente a mettere Dio in cammino.
Un uomo aveva due figli.
Questo inizio, semplicissi­mo e favoloso, apre la pa­rabola più bella. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa il centro del nostro vivere, nessuna lascia trasparire come questa il cuore di Dio. Un Dio dif­ferente, diverso non solo da quello dei Farisei, ma an­che dall'immagine che noi ancora ci portiamo in cuore: un Padre che non vuole una casa abitata da figli­servi, obbedienti e scontenti, ma da figli-liberi, gioiosi e amanti. Il suo dramma sono due figli en­trambi insoddisfatti, forse perché si credono servi.
Il più giovane se ne va, un giorno, in cerca di felicità. Questa crisi del ribelle l'abbiamo tutti vissuta, e spes­so il gesto di rivolta non e­ra che il preludio a una dichiarazione d'amore. Il Pa­dre non si oppone, non è mai contro la libertà.
Ma la storia ha una svolta drammatica: il figlio si tro­va a pascolare i porci. Il li­bero ribelle è diventato ser­vo, affamato, «può rubare le ghiande ai porci, ma non può accontentarsi, come loro, delle sole ghiande. Crudeltà questa? No, Prov­videnza» (Mazzolari). L'uo­mo nasce con il cuore ma­lato di cose grandi e le pic­cole non saziano.
Allora si ricorda del pane di casa, e si mette in cammino. Al padre non importa il motivo per cui il figlio ri­torna, se per fame o per a­more, se per paura o per pentimento, a lui basta che si metta in viaggio, e lo «ve­de quando è ancora lontano».
Padre, non sono degno, trat­tami da servo. E lui lo in­terrompe, per convertirlo proprio dal suo cuore di servo, per restituirgli un cuore di figlio, un cuore in festa. Per questo non ema­na verdetti, né di condanna né di assoluzione, perché il primo sguardo di Dio non si posa mai sul peccato del­l'uomo, ma sempre sulla sofferenza, per guarirla.
Il fratello maggiore torna dai campi ed entra in crisi: «io ti ho sempre ubbidito, e tu non mi hai dato neanche un capretto». Ha misurato tutto sulla contabilità del dare e dell'avere, come un salariato. Il padre vuole sal­vare anche lui dal suo cuo­re di servo: «tu sei sempre con me, tutto ciò che è mio è tuo». Tutto! Avrà capito?
Padre, non sono degno, ma mi prendo lo stesso il tuo abbraccio, la veste nuova, la festa. Sono l'eterno pro­digo. Sono la tua agonia e la tua gioia. Sono il tuo fi­glio. Grazie di essere Padre a questo modo, un modo davvero divino.

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