In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno». Mt 16,24-28
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«Rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
Tre verbi, l’uno in successione dell’altro, e ciascuno in conseguenza di ciò che precede.
Non sono tre azioni distinte, ma un insieme inscindibile, una specie di cascata di atti consequenziali che sfociano nella sequela di Gesù, l’identificano e le danno consistenza. Rinnegare se stessi! Cosa sarebbe, se non tenere libere le mani e allenarle perché possano afferrare la croce? Prendere la croce: non sarebbe inutile autolesionismo, se non fosse andare dietro a Gesù? Non si prende la croce per iniziativa, ma per imitazione.
Seguire Gesù non è qualcosa di esteriore, ma una scelta anzitutto d’interiorità. È alla luce e nella prospettiva di Gesù che queste tre condizioni di sequela vanno intese. Tutte e tre, insomma, fondano il discepolato cristiano, gli offrono il terreno perché possa vivere e crescere. Ciò detto, ciascuna di esse andrebbe ulteriormente analizzata. Il rinnegarsi, infatti, acquista consistenza se diventa imitazione di Gesù, che ha vissuto la sua vicenda terrena in condizione di pro-esistenza, ossia di esistenza per gli altri.
Perdere la vita non è un incoraggiamento a disprezzarla, bensì a valorizzarla appieno mettendola in gioco per Cristo. In fondo vivere di fede è proprio questo.
dal Giornale "A Sua Immagine"
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